01/07/2018

COMMENTI ALLE LETTURE DOMENICALI

 FARINELLA PAOLO prete

 Vangelo – Mt 11,27-30 

. Tra il discorso missionario ( cf Mt 10) e il discorso sul Regno di Dio (cf Mt 13) vi sono due capi-toli narrativi che descrivono l’attività di Gesù come attuazione del suo insegnamento. Nel vangelo di Mt Gesù fa cinque di-scorsi e ognuno è seguito da una sezione narrativa che mette in luce «le opere» di Gesù, in base allo schema «parola – a-zione». In Gesù nessuna parola è vuota, ma ogni parola è un «fatto» di vita a servizio della persona. La liturgia riporta la conclusione della sezione narrativa dopo il 2° discorso, che è quello missionario. Il brano è un inno di Cristo, anzi, secondo lo stile ebraico è una berakàh/benedizione a Dio, in cui per cinque volte ricorre il termine «Padre» e due volte il termine «giogo» che nella tradizione giudaica indicava l’osservanza gioiosa, sebbene pesante, della Toràh scritta e orale, codificata nei 613 precetti. Nel tempo della nuova alleanza, non c’è più spazio per la disperazione perché siamo dispensati da ogni peso di osservanza: basta vivere il comandamento che riassume tutta la Toràh e i Profeti, il «mishvàh ha-havàh – il coman-damento dell’amore». Questo ci basta perché in esso c’è tutto.

Il brano del vangelo di oggi nella versione di Mt probabilmente proviene da una tradizione aramaica molto primitiva, nella quale in un primo tempo (cf Mt 11,25-27) Gesù innalza una berakàh/benedizione al Padre che lo ha inviato a rivelarlo proprio a quei piccoli che i «saggi» escludevano. Se si esclude l’invocazione nell’orto degli Ulivi (cf Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,42; cf Gv 18,11) e quella disperante sulla croce (cf Mt 27,46; Mc 15,34), qui avremmo l’unica preghiera di Gesù registrata nei vangeli che non trova equivalente nella Bibbia per-ché Gesù la mutua dalla preghiera giudaica in uso al suo tempo. Tutte le preghiere dell’Ebreo cominciano sempre con la «benedizione di Dio», riconosciuto così come sorgente della propria fecondità. L’espressione «Signore del cielo e della terra» non esiste nella Scrittura, ma esiste, infatti, nei formulari della preghiera quotidiana6.

6 Cf Ger 24,3; 24,7 dove si trova «Signore, Dio del cielo e della terra» e Esd 5,11 che ha solo «Dio del cielo e della terra».

7 Cf Bibbia-Cei (2008) e relativa nota, specialmente a Sir 51,30. Rinaldo Fabris rileva che Mt 11,25-30 possa essere messo in relazione con Sir 51,1-30, anche se in modo precario, trovandovi «uno schema letterario che sta alla base anche del testo evangelico di Matteo» secondo il seguente schema: [a] «Mt 11,25-26 con Sir 51,1-2: lode a Dio per la salvezza»; [b] «Mt 11,27 con Sir 51,13-22: ricerca ritrovamento della sapienza»; [c] «Mt 11,28-30 con Sir 51,23-30: appello invito promessa a quelli che desiderano la sapienza» (R. FABRIS, Matteo, Borla Roma 1982, 265, note 2 e 3).

8 Il tempo di Gesù è intriso da due grandi correnti culturali che sono l’apocalittica e il movimento sapienziale. L’apocalittica interpreta il tempo presente come giunto al termine e legge la storia che cammina verso il compimento finale (escatologia) come una lotta decisiva tra il bene e il male, tra i figli della luce e i figli delle tenebre. E’ anche la dimensione della comunità di Qumran. Il binomio «nascondere/rivelare» è tipico di questo movimento: la verità si svela agli adepti e si nasconde agli esterni, ai pagani. La seconda corrente, il movimento sapienziale, tende alla spiritualizzazione della storia della salvezza attraverso l’acquisizione della «sapienza» come capacità di buon governo e di gestione delle cose create. Essa stimola l’atteggiamento morale perché induce a mettere in atto comportameti aderenti all’anima profonda della «Sapienza» che è spesso personificata come residente accanto alla maestà di Dio. Il Sapiente è colui che vive la pienezza della Toràh nel timore e nella fedeltà al disegno di Dio rivelato. In questo contesto il binomio «piccoli/sapienti» in bocca a Gesù diventa straordinariamente innovativo: nessuno è più estraneo alla mensa della Sapienza. Anche i poveri e i piccoli ne possono mangiare il pane.

L’invocazione di Gesù in greco è «exomologoûmai – rendo lode/confesso» che ha il senso di un ricono-scimento ufficiale e pubblico: una benedizione che diventa lode e ringraziamento come nel testo parallelo del suo antenato Gesù ben Sira/figlio di Sira7 (cf Sir 51,30 e relativa nota in Bibbia-Cei [2008]). Il tema della pre-ghiera è apocalittico e si trova espresso nel binomio «nascondere/rivelare», ma è anche sapienziale come sugge-risce il binomio di contrasto «piccoli/sapienti». Gli studiosi hanno cercato nel contesto sapienziale la fonte lette-raria di riferimento di Mt8. Il testo dimostra che Gesù era intriso di Scrittura e la usava nella sua esperienza per-sonale di preghiera. Leggiamo infatti nel testo ebraico del Siracide: «Ti lodo, Dio della mia salvezza; ti ringrazio Dio di mio padre» (Sir 51,1) che subito dopo, sempre nel testo ebraico, diventa: «Signore, mio Padre sei tu, il mio campione di salvezza» (Sir 51,10). Il Sapiente si rivolge direttamente a Dio, invocandolo col nome di «Padre», esattamente come fa Gesù. Tra Siracide e Gesù però c’è una differenza: il primo si rivolge a Dio ringraziandolo affinché lo liberi dalla tribolazione e dall’arroganza, mentre Gesù ringrazia e loda il Padre perché coloro che sono esclusi dalla religione ufficiale hanno capito il senso della vita, mentre coloro che si ritengono custodi della vo-lontà di Dio, i Sapienti, non hanno compreso la portata del messaggio di Gesù, restando chiusi nelle tenebre della loro presunzione.

Le parole di Gesù richiamano da vicino quelle del profeta Isaia che con parole definitive si scaglia contro i sapienti del sec. VIII a. C., accusati di essere incoerenti e di servirsi di Dio per i loro piani nefasti: «Perirà la sapienza dei sapienti e scomparirà l’intelligenza degli intelligenti» (Is 29,14). Gesù non è un sapiente nel senso comune, perché tutta la sua vita promana ed è rivolta alla volontà del Padre con cui intrattiene un rapporto non d’interesse, ma filiale e di abbandono. La sua opera è compiere il volere di salvezza del Padre che egli interpreta come una chiamata universale alla mensa della libertà di tutti coloro che sono esclusi ed emarginati. Il v. 25 infat-ti riporta un termine «n pioi» che significa «infanti» e che deriva dall’ebraico «peta ìm» che significa «sempli-ci/ingenui». Il Dio di Gesù non è il Dio dei furbi e degli intrallazzatori, di coloro che sanno usare le parole per confondere, o la loro condizione per deviare. Il Dio di Gesù è il Dio che abbandona i superbi e i sapienti a sé stes-si e fa «la scelta preferenziale dei poveri», di coloro che nulla contano e che possono essere facilmente manovrati e ingannati.

Nell’inno di benedizione è facile ritrovare lo sfondo biblico di Dn 11, dove i tre fanciulli elevano un can-tico a Dio, mentre sostengono una lotta contro i saggi di Babilonia e in forza della loro preghiera essi ricevono la rivelazione dei segreti del Regno di Dio. Gesù contrappone sé stesso e i suoi discepoli ai saggi del giudaismo, come Daniele si contrappone ai saggi babilonesi. Un esempio lo troviamo nel discorso della montagna: «Avete inteso che fu detto agli antichi … ma io vi dico…» (Mt 5,21-22.27-28.33-34.38-39.43-44). Gli antichi sono gli anziani, i saggi della tradizione orale della Mishnàh e del Talmud che avrebbero dovuto facilitare, non escludere dall’incontro con Dio: «Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entra-ti, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito» (Lc 11,52). Al v. 27 Gesù dice: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio» e anche questa affermazione è un rimando sempre al libro di Dn 7,13-14: «13

Guardando ancora nelle 6  visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, 14 che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto», che a sua volta ci riman-da al profeta Zaccaria della prima lettura, a Zc 9,10 che abbiamo appena ascoltato: «annuncerà la pace alle nazio-ni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume ai confini della terra».

Con questa benedizione/ringraziamento messa in bocca a Gesù, l’evangelista Mt ci dice anche che Gesù è sullo stesso piano del Padre perché Mt 11,25 è il Padre che rivela «queste cose» ai piccoli, mentre al v. 27 è Gesù stesso che rivela addirittura il Padre e conclude non con l’invito ad andare verso il Padre, ma invita i piccoli verso di sé: «venite a me, affaticati e oppressi» (Mt 11,28) perché Gesù e il Padre sono la stessa cosa (cf Gv 10,30). Chi è allora Gesù? Per Mt è la Sapienza del Padre che con affabilità e comprensione rivela il segreto del Regno (Daniele) ai piccoli e agli afflitti dall’osservanza religiosa che quando moltiplica i precetti diventa un im-pedimento, non una via alla salvezza (cf Mt 23,2-4). Presentando Gesù come mite e umile di cuore, Matteo si inserisce nella visione della tradizione giudaica che preannuncia un Messia mansueto e pacifico. La Mishnàh (A-vot I,15) a nome di Shammài insegna: ‘Ricevi ogni uomo con un’espressione cordiale’ quasi a dire che ogni per-sona ha diritto ad un nostro sorriso, ad un nostro atteggiamento di benevolenza preventiva, senza pregiudizi. Quando verrà il Messia risanerà le divisioni dentro Israele e si manifesterà non solo come il più grande profeta e Maestro (nuovo Mosè), ma anche come il più cordiale e affabile tra gli uomini. Gesù invita a prendere il suo gio-go e a seguirlo, quindi si propone come guida che, come nuovo Mosè, cammina all’avanguardia del suo popolo per predisporre il suo insegnamento davanti a lui (leorot lefanv/disporre davanti a sé) affinché chi lo segue possa facilmente farlo.

Oggi questo vangelo è particolarmente adatto per coloro che detengono le leve dell’informazione e quindi gli strumenti della conoscenza con i quali è facile fare credere una cosa per un’altra o indirizzare verso obiettivi preventivamente studiati per manipolare coscienze per fini politici, economici o sociali. Creare e alimentare un clima di paura per avere terreno fertile a far passare leggi razziste e disumane contro immigrati o gruppi di mino-ranze senza tutela che altrimenti non sarebbero state mai approvate è un atteggiamento di quella sapienza che si fa furba e che attira su di sé la condanna del profeta Isaia e l’esclusione da parte di Gesù che sceglie coloro che sono esclusi, manipolati e manovrati. Anche il Siracide (testo ebraico) aveva garantito che Dio svela agli umili i suoi segreti (cf Sir 3,20).

Gesù è un leader che detiene un’autorità autorevole perché alleggerisce i pesi del popolo e si pone davan-ti ad esso come modello non di autorità, ma di umiltà e di mitezza. L’autorità nella chiesa entra in crisi quando si pone come comando irragionevole (cioè senza adeguate ragioni) e impone comportamenti e modelli che aumen-tano la pesantezza del fardello, non la riducono. Un’autorità veramente progressista (che sta avanti) è quella che invita a salire in alto e ad andare avanti, che prende per mano e guida verso il futuro, che sorride sulle debolezze umane e addita una mèta coraggiosa come punto di forza e di identità. Un’autorità che cura sé stessa è frutto ma-turo del diavolo, non imitazione di Cristo, mite e umile di cuore. Se vogliamo imparare ad essere autorevoli, dob-biamo imparare a sapere sorridere e l’Eucaristia è la scuola in cui Dio ci sorride con la mitezza del pane e l’umiltà della parola che si fanno nostro cibo e nostra forza.