Dominante nel brano della Genesi e nel brano della lettera di Paolo ai Romani è il tema della circoncisione, che vorrei brevemente sfiorare prima di passare al vangelo.
La circoncisione è un segno nella carne, era un costume in vigore anche presso altri popoli, ma diventa con Abramo segno di un’alleanza. Come se fosse iscritto, nella carne stessa, l’impegno di Dio con il suo popolo e, di conseguenza, l’impegno del popolo con Dio: ”Così” è scritto “la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne”. Quasi un richiamo concreto, che ti parla, ti parla perennemente, nella carne.
Certo, come tutti i riti anche la circoncisione nella carne corre il rischio di essere impoverita a pratica puramente esteriore – come il battesimo d’altronde –. Succedeva quando il popolo di Israele dimenticava che nel segno era scritta una fedeltà, la fedeltà di Dio, che non sarebbe mai venuta meno, ma anche la fedeltà del suo popolo, una fedeltà – come la nostra per altro – a rischio: ”Io sono Dio, l’Onnipotente, cammina davanti a me e sii integro”. Parole che raggiungono anche noi oggi, perché la promessa di Dio ad Abramo aveva il colore dell’universalità: sarebbe diventato padre di una moltitudine di nazioni. E’ bellissimo pensare che noi siamo dentro questa universalità, la benedizione di Dio non ci impoverisce in una sola nazione. Allarga, a tutte le nazioni.
“Cammina davanti a me e sii integro”. Bellissimo questo invito a camminare, a camminare alla luce del volto di Dio e ad essere integri. A non lasciarci corrompere, integri: pensate a questo invito che giunge a noi dentro una stagione in cui quasi ogni giorno ci viene raccontato il cammino strisciante, inquietante, pervasivo, della corruzione. Che purtroppo fa scuola. “Sii integro”.
Camminare davanti a Dio, alla sua luce. E ci connettiamo al vangelo di Giovanni dove abbiamo sentito Gesù parlare di luce: “Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce per diventare figli della luce”. E’ lui la luce, ancora pochi giorni e poi il cielo si sarebbe riempito di buio nell’ora della sua crocifissione. A morte la luce.
Le parole che Giovanni mette sulle labbra di Gesù appartengono a un capitolo, il dodicesimo del suo vangelo, che è colmo di avvenimenti, che ci aiutano a interpretare il messaggio di Gesù che parla della luce e di chi resiste alla luce e sceglie le tenebre.
Il capitolo ha inizio con una cena a Betania in cui Maria cosparge di profumo i piedi di Gesù e glieli asciuga con i suoi capelli. C’è chi capisce, Gesù, e c’è chi è contro la donna, lo giudica un spreco intollerabile.
Il giorno dopo una folla in festa con rami di palma esce incontro a Gesù, che monta sopra un asinello. Anche in questo caso è scritto che i suoi discepoli al momento non capirono; capirono, solo dopo, quella scelta controcorrente, contro la corrente dell’esibizione. I farisei una cosa la capirono subito: il pericolo era che la gente andasse dietro lui, andava fermato, andava fermata la luce.
In contemporanea, diremmo, arriva un gruppo di Greci: mentre i vicini si chiudono alla luce, i lontani si aprono. Chiedono di vedere Gesù. “Ormai” sembra dire Gesù “vedranno un chicco di grano cadere nella terra, cadere nella morte di croce, ma, proprio cadendo nella terra, germoglierà”. Come a dire che solo nella sua morte si sarebbe conosciuto chi egli veramente fosse: uno che per i suoi amici, per noi, arriva fino a dare la vita. Ma la folla non capisce. Per la folla il Messia non può morire.
Vedete, tenebre e luce nel racconto: chi si apre alla luce, chi si chiude. Non basta la circoncisione, e non basta nemmeno essere guide spirituali come erano i farisei, occorre un movimento del cuore. Credere è fiducia, la fiducia è un movimento del cuore, dello spirito. Quel movimento del cuore, dello spirito, che ci sembra di scorgere nel piccolo gruppo dei Greci che vanno da Filippo e gli dicono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Ti apri alla luce. O resisti. Se resisti, neppure Dio ci può fare niente, è come costretto, costretto, dalla nostra libertà, a permettere che i nostri occhi diventino ciechi e il nostro cuore duro. A questo mistero alludono le parole del profeta Isaia, citate da Gesù.
Ebbene c’è qualcosa da capire, ci sono tante cose da capire! In questo rincorrersi continuo nel nostro brano di aperture e di chiusure alla luce, forse una fessura da cui intravvedere ci è offerta dai versetti che riguardano i capi. E’ scritto: “Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”.
Amavano la gloria degli uomini più che la gloria di Dio. Al centro mettevano se stessi, i loro interessi, la loro posizione, la loro celebrità. Ci si chiude alla luce. E’ un pericolo ricorrente, in ogni esperienza religiosa: mettere al centro se stessi, al centro l’istituzione: i nostri titoli, le nostre insegne, le nostre tradizioni, la nostra gloria, magari verniciata e fatta passare per gloria di Dio, per difesa di Dio. Amavano la gloria degli uomini più che la gloria di Dio. Risultato si chiudevano alla luce.
Raccogliamo l’invito di Gesù – io lo devo accogliere per primo –. È un appello pressante, custodisce quasi una urgenza: “Ancora per poco sono con voi”. Ma tu, Signore, non hai forse detto che saresti stato sempre con noi? Sei con noi, ma a noi tocca stare nella tua luce, esposti alla tua luce, esposti a te che sei il sole di giustizia, imparando da te che la vita l’hai donata, ricercatori non della gloria degli uomini, ma della gloria di Dio.
“Credete nella luce per diventare figli della luce”.
V DOMENICA DOPO PENTECOSTE- COMMENTO ALLE LETTURE
24/06/2018
V DOMENICA DOPO PENTECOSTE
Commento alle letture :
Gn 17,1b-16 – Rm 4,3-12 –Vangelo Gv 12, 35-50
DON ANGELO CASATI
Dominante nel brano della Genesi e nel brano della lettera di Paolo ai Romani è il tema della circoncisione, che vorrei brevemente sfiorare prima di passare al vangelo.
La circoncisione è un segno nella carne, era un costume in vigore anche presso altri popoli, ma diventa con Abramo segno di un’alleanza. Come se fosse iscritto, nella carne stessa, l’impegno di Dio con il suo popolo e, di conseguenza, l’impegno del popolo con Dio: ”Così” è scritto “la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne”. Quasi un richiamo concreto, che ti parla, ti parla perennemente, nella carne.
Certo, come tutti i riti anche la circoncisione nella carne corre il rischio di essere impoverita a pratica puramente esteriore – come il battesimo d’altronde –. Succedeva quando il popolo di Israele dimenticava che nel segno era scritta una fedeltà, la fedeltà di Dio, che non sarebbe mai venuta meno, ma anche la fedeltà del suo popolo, una fedeltà – come la nostra per altro – a rischio: ”Io sono Dio, l’Onnipotente, cammina davanti a me e sii integro”. Parole che raggiungono anche noi oggi, perché la promessa di Dio ad Abramo aveva il colore dell’universalità: sarebbe diventato padre di una moltitudine di nazioni. E’ bellissimo pensare che noi siamo dentro questa universalità, la benedizione di Dio non ci impoverisce in una sola nazione. Allarga, a tutte le nazioni.
“Cammina davanti a me e sii integro”. Bellissimo questo invito a camminare, a camminare alla luce del volto di Dio e ad essere integri. A non lasciarci corrompere, integri: pensate a questo invito che giunge a noi dentro una stagione in cui quasi ogni giorno ci viene raccontato il cammino strisciante, inquietante, pervasivo, della corruzione. Che purtroppo fa scuola. “Sii integro”.
Camminare davanti a Dio, alla sua luce. E ci connettiamo al vangelo di Giovanni dove abbiamo sentito Gesù parlare di luce: “Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce per diventare figli della luce”. E’ lui la luce, ancora pochi giorni e poi il cielo si sarebbe riempito di buio nell’ora della sua crocifissione. A morte la luce.
Le parole che Giovanni mette sulle labbra di Gesù appartengono a un capitolo, il dodicesimo del suo vangelo, che è colmo di avvenimenti, che ci aiutano a interpretare il messaggio di Gesù che parla della luce e di chi resiste alla luce e sceglie le tenebre.
Il capitolo ha inizio con una cena a Betania in cui Maria cosparge di profumo i piedi di Gesù e glieli asciuga con i suoi capelli. C’è chi capisce, Gesù, e c’è chi è contro la donna, lo giudica un spreco intollerabile.
Il giorno dopo una folla in festa con rami di palma esce incontro a Gesù, che monta sopra un asinello. Anche in questo caso è scritto che i suoi discepoli al momento non capirono; capirono, solo dopo, quella scelta controcorrente, contro la corrente dell’esibizione. I farisei una cosa la capirono subito: il pericolo era che la gente andasse dietro lui, andava fermato, andava fermata la luce.
In contemporanea, diremmo, arriva un gruppo di Greci: mentre i vicini si chiudono alla luce, i lontani si aprono. Chiedono di vedere Gesù. “Ormai” sembra dire Gesù “vedranno un chicco di grano cadere nella terra, cadere nella morte di croce, ma, proprio cadendo nella terra, germoglierà”. Come a dire che solo nella sua morte si sarebbe conosciuto chi egli veramente fosse: uno che per i suoi amici, per noi, arriva fino a dare la vita. Ma la folla non capisce. Per la folla il Messia non può morire.
Vedete, tenebre e luce nel racconto: chi si apre alla luce, chi si chiude. Non basta la circoncisione, e non basta nemmeno essere guide spirituali come erano i farisei, occorre un movimento del cuore. Credere è fiducia, la fiducia è un movimento del cuore, dello spirito. Quel movimento del cuore, dello spirito, che ci sembra di scorgere nel piccolo gruppo dei Greci che vanno da Filippo e gli dicono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Ti apri alla luce. O resisti. Se resisti, neppure Dio ci può fare niente, è come costretto, costretto, dalla nostra libertà, a permettere che i nostri occhi diventino ciechi e il nostro cuore duro. A questo mistero alludono le parole del profeta Isaia, citate da Gesù.
Ebbene c’è qualcosa da capire, ci sono tante cose da capire! In questo rincorrersi continuo nel nostro brano di aperture e di chiusure alla luce, forse una fessura da cui intravvedere ci è offerta dai versetti che riguardano i capi. E’ scritto: “Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”.
Amavano la gloria degli uomini più che la gloria di Dio. Al centro mettevano se stessi, i loro interessi, la loro posizione, la loro celebrità. Ci si chiude alla luce. E’ un pericolo ricorrente, in ogni esperienza religiosa: mettere al centro se stessi, al centro l’istituzione: i nostri titoli, le nostre insegne, le nostre tradizioni, la nostra gloria, magari verniciata e fatta passare per gloria di Dio, per difesa di Dio. Amavano la gloria degli uomini più che la gloria di Dio. Risultato si chiudevano alla luce.
Raccogliamo l’invito di Gesù – io lo devo accogliere per primo –. È un appello pressante, custodisce quasi una urgenza: “Ancora per poco sono con voi”. Ma tu, Signore, non hai forse detto che saresti stato sempre con noi? Sei con noi, ma a noi tocca stare nella tua luce, esposti alla tua luce, esposti a te che sei il sole di giustizia, imparando da te che la vita l’hai donata, ricercatori non della gloria degli uomini, ma della gloria di Dio.
“Credete nella luce per diventare figli della luce”.