Traccia di comprensione delle letture-Domenica delle Palme 2017
09/04/2017
Traccia di comprensione delle letture- Is 52,13-53,12; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
don Raffaello Ciccone – Tratto da Qumran2.net
Domenica delle Palme 2017
Vangelo secondo Giovanni 11,55 – 12,11
Nel suo Vangelo Giovanni, a questo punto, comincia a raccontare gli ultimi fatti di Gesù e il profilo dell’orizzonte che si presenta. All’esterno, nei luoghi di potere, si pensa di bloccarlo con ordini precisi e perentori: si costruisce una trama di tradimento attorno a lui, si mobilitano la classe sacerdotale e l’autorità religiosa, mentre si infittisce la domanda sulla prossima venuta a Gerusalemme formulata da curiosi, credenti, pellegrini. La casa di Dio (il tempio) è vuota della sua presenza e tutti si pongono la domanda della fedeltà al pellegrinaggio dal centro della fede ebraica: “Stando nel tempio dicevano tra loro:’Non verrà alla festa?'”
Anche tra i suoi Gesù sente l’aria di diffidenza e di paura e cerca di riportare al centro la scelta di amore. Si passa, di fatto, dall’odio delle autorità religiose che cercano di ucciderlo all’ipocrisia di un discepolo che mostra attenzione ai poveri, formalmente, ma poi si scopre che è un ladro che cerca di intascare il danaro che era di Gesù e del gruppo di discepoli.
E’ fondamentale il gesto di Maria: ella vuole onorare Gesù che nella casa aveva riportato il fratello ,Lazzaro, sottraendolo all’Oltretomba.
Qui l’avarizia, il riservo, l’inganno vengono smascherati poiché insidiano il giusto che ha aperto Lazzaro alla vita e all’amore dei suoi. E Lazzaro stimola la curiosità poiché colui che è risorto diventa attrazione almeno alla pari di Gesù. Eppure c’è un acre sapore di morte e di paura, anche se attorno a Gesù si sta costituendo un popolo nuovo che crede alla vita, avendo veduto Lazzaro.
Ma il messaggio che Gesù lancia sulla sua sepoltura, difendendo Maria, è offerto a tutti ed è da questa raccolto: essa si sta preparando, con il suo gesto gratuito, sia alla tenerezza e all’amore attorno alla morte di Gesù e sia alla resurrezione stessa, poiché non arriverà con le altre donne a completare i riti della sepoltura. Ma tutto questo lo capirà più avanti, come ciascuno di noi, il senso della vita.
Iniziamo cosi i riti della Settimana Santa con il suggerimento del dono gratuito di Maria che offre tutto quello che ha di prezioso a Gesù anche con il rischio di essere equivocata. Ma essa esprime l’amore, la speranza e il ringraziamento in Lui, fonte della vita.
Lettura del profeta Isaia 52,13 – 53,12
Nella seconda parte del libro di Isaia (capp 40-55), ricorre una figura misteriosa, detta del “servo di Javhè”, almeno quattro volte. Qui l’autore raggiunge uno dei vertici più alti della poesia e della rivelazione. Il Signore garantisce un risultato eccezionale per il proprio servo che può contare sull’aiuto e sulla potenza di Dio. Ma il quadro è terribile, desolante. Il servo è sfigurato e talmente inguardabile che sarà riscoperto dai popoli con orrore e raccapriccio e si meraviglieranno di questa impotenza e desolazione. Egli è l’uomo dei dolori, nato e cresciuto nel rifiuto e nel disprezzo. Eppure egli si è addossato il nostro male e il nostro dolore. Avevamo sbagliato tutto nel valutarlo, tanto da pensare che lo stesso nostro disprezzo fosse, prima di tutto, condiviso da Dio, essendo, questo servo, “castigato, percosso da Dio e umiliato”.Il servo sofferente, invece, mite e disprezzato, perseguitato e messo a morte, offre le proprie sofferenze per espiare i peccati degli uomini e diventa capo di tutti i giustificati davanti a Dio. Dio stesso, all’inizio, prende la parola: “Ecco, il mio servo avrà successo”: (52,13); poi il profeta o un gruppo anonimo continuano la narrazione della tragedia e della sofferenza e infine Dio riprende la parola per garantire la gloria al suo Cristo (53,11b- 12).
Così la rivelazione ci apre gli occhi: “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (v6).Il Signore prende sul serio l’amore e la pietà dei suoi fedeli.
La figura del servo che rappresenta il popolo in esilio ricapitola in sé tutte le caratteristiche degli eroi e dei profeti del Vecchio Testamento: Mosè, Geremia, Giobbe. Però le sorpassa tutte e diventa una figura che si proietta sul futuro con impressionante somiglianza con Gesù, colui che espia i peccati degli uomini. Gesù stesso, e lo si rileva dagli scritti del Nuovo Testamento, interpreta la sua opera e la sua morte alla luce di questo testo.
- Nei vv. 1-9 viene dettagliata la descrizione della umiliazione e delle profonde sofferenze del Servo che, innocente, prende sopra di sé i peccati degli altri e li espia. Questa “espiazione vicaria” fa intravedere il mistero e l’oscurità degli avvenimenti che toccano il servo di Dio a cui è legata la potenza di Dio che salva Israele (il braccio).
Manca la bellezza, che pure era considerata benedizione di Dio. Questo misterioso servo nasce come “radice in terra arida, come virgulto”, facendo riferimento alla dinastia di Davide ormai detronizzata (Is, 11,1.10). Egli rivive l’esperienza di Geremia (15,17) e di Giobbe (19,13-19), ripudiati e scherniti dai parenti e coetanei.
Egli è un innocente che espia i peccati, le pene e le sofferenze a cui dovrebbero essere sottoposti i peccatori. Con questa sostituzione noi otteniamo la pace. Per le sue cicatrici guariamo.
- vv. 10-12: Alla morte segue la riabilitazione e la vita sia del servo che della comunità dei giusti. Qui Dio interviene ancora direttamente.
Una riflessione che ci lascia perplessi nasce dalla meditazione di questa terribile esperienza di Gesù: tutta la sofferenza dei poveri, tutta l’angoscia dei giusti, tutta la pressione sui non violenti, nelle mani di Dio, ottengono il miracolo della pace, del cambiamento, della novità. Nessuna sofferenza va persa, ma ognuna diventa lievito di progetto e di vita nuova.
E questo è perché Dio mette le mani nella storia
Su questa linea desidero ricordare due testimonianze e due testamenti che, anche a noi, aprono gli occhi.
Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze religiose, è stato ucciso il 2 marzo da fondamentalisti islamici che lo hanno punito perché cercava di modificare la legge sulla blasfemia che, in 25 anni di applicazione, è costata la vita a centinaia di cristiani. Il suo testamento, splendido e generoso, dice: “Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, minacciato, perseguitato. Finché avrò vita, fino all’ultimo mio respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera gente, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri… Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani, qualunque sia la loro religione, vadano considerati innanzitutto come esseri umani… Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremmo guadagnati un posto ai piedi di Gesù e io potrò guardarlo senza provare vergogna”.Il Signore ha accettato l’umiliazione, il silenzio, la non violenza allora come oggi, dei monaci di Tibhirine in Algeria, morti martiri circa 15 anni fa e particolarmente conosciuti, in questi giorni, attraverso un film (“Uomini di Dio”), che racconta il loro itinerario spirituale e la loro scelta. Ci è rimasto uno splendido testamento dell’abate che spiega la propria fedeltà al Signore, alla propria vocazione di monaci in un popolo straniero ma sofferente, alla scelta di voler restare con i confratelli a condividere, con i poveri, la fatica e l’angoscia comuni.
Lettera agli Ebrei 12,1b-3
Nell’ultima parte della Lettera agli ebrei convertiti (10,19-13,22), l’autore biblico richiama significati e itinerari di “vita cristiana”. Egli fa riferimento a credenti in Cristo che faticano a mantenere salda la fede e spesso sono tentati di equivocare il loro rapporto con Gesù. Il capitolo 11, precedente, ha illustrato il significato della fede che i propri Padri hanno vissuto. ” Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio” (11,2). Ma il richiamo alla fede dei Padri è sviluppato come orientamento per giungere all’esempio perfetto e supremo del Signore Gesù. È in lui che bisogna concentrare l’attenzione, imparare la saggezza e affrontare con coraggio le difficoltà della sofferenza.Nel testo viene utilizzata un’immagine molto divulgata nel primo secolo: la corsa negli stadi. Già presente in altri contesti (1Corinzi 9:24-26; Filippesi 3:12-14) di Paolo, è adatta a identificare lo stile e le preoccupazioni di una comunità credente.”Deporre ogni peso, correre con perseveranza, tenere gli occhi fissi alla meta senza distrarsi” sono atteggiamenti propri di chi corre per ottenere una corona ed un riconoscimento di gloria. Ma sono anche scelte che i credenti debbono poter compiere, sapendo che questa corsa è orientata verso Cristo, origine di quella fede che in Lui viene portata a compimento.L’autore fa appello all’intelligenza e alla sensibilità dei credenti per individuare il significato del “deporre ogni peso”: liberarsi dal male (i peccati) e dalle preoccupazioni che assorbono eccessivamente l’impegno verso il Signore. E questa operazione non va fatta solo all’inizio della scelta credente ma va sviluppata, via via ogni giorno, nella vita.Mentre si cammina verso il Signore Gesù, un richiamo interessante può essere fatto all’abbigliamento dell’atleta che corre quasi completamente nudo, poiché vestiti e mantelli possono intralciare la corsa, o meglio, il ritmo costante e sostenuto (“la perseveranza”).Anzi il credente deve spogliarsi continuamente delle paure, delle preoccupazioni e del peccato che ostacolano il cammino.
E bisogna, “senza distrarsi, tenere fissi gli occhi su Gesù”. Nella sua fede, intravedendo la gloria di Dio, Gesù è stato capace di accettare la sofferenza. E come la sua fede coraggiosa e fedele gli ha fatto superare gli ostacoli per arrivare alla gloria di Dio, così anche noi siamo invitati allo stesso itinerario che Egli ci permette di sviluppare fino al riconoscimento ed alla gloria del Padre.
Traccia di comprensione delle letture-Domenica delle Palme 2017
09/04/2017
Traccia di comprensione delle letture- Is 52,13-53,12; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
don Raffaello Ciccone – Tratto da Qumran2.net
Domenica delle Palme 2017
Vangelo secondo Giovanni 11,55 – 12,11
Nel suo Vangelo Giovanni, a questo punto, comincia a raccontare gli ultimi fatti di Gesù e il profilo dell’orizzonte che si presenta. All’esterno, nei luoghi di potere, si pensa di bloccarlo con ordini precisi e perentori: si costruisce una trama di tradimento attorno a lui, si mobilitano la classe sacerdotale e l’autorità religiosa, mentre si infittisce la domanda sulla prossima venuta a Gerusalemme formulata da curiosi, credenti, pellegrini. La casa di Dio (il tempio) è vuota della sua presenza e tutti si pongono la domanda della fedeltà al pellegrinaggio dal centro della fede ebraica: “Stando nel tempio dicevano tra loro:’Non verrà alla festa?'”
Anche tra i suoi Gesù sente l’aria di diffidenza e di paura e cerca di riportare al centro la scelta di amore. Si passa, di fatto, dall’odio delle autorità religiose che cercano di ucciderlo all’ipocrisia di un discepolo che mostra attenzione ai poveri, formalmente, ma poi si scopre che è un ladro che cerca di intascare il danaro che era di Gesù e del gruppo di discepoli.
E’ fondamentale il gesto di Maria: ella vuole onorare Gesù che nella casa aveva riportato il fratello ,Lazzaro, sottraendolo all’Oltretomba.
Qui l’avarizia, il riservo, l’inganno vengono smascherati poiché insidiano il giusto che ha aperto Lazzaro alla vita e all’amore dei suoi. E Lazzaro stimola la curiosità poiché colui che è risorto diventa attrazione almeno alla pari di Gesù. Eppure c’è un acre sapore di morte e di paura, anche se attorno a Gesù si sta costituendo un popolo nuovo che crede alla vita, avendo veduto Lazzaro.
Ma il messaggio che Gesù lancia sulla sua sepoltura, difendendo Maria, è offerto a tutti ed è da questa raccolto: essa si sta preparando, con il suo gesto gratuito, sia alla tenerezza e all’amore attorno alla morte di Gesù e sia alla resurrezione stessa, poiché non arriverà con le altre donne a completare i riti della sepoltura. Ma tutto questo lo capirà più avanti, come ciascuno di noi, il senso della vita.
Iniziamo cosi i riti della Settimana Santa con il suggerimento del dono gratuito di Maria che offre tutto quello che ha di prezioso a Gesù anche con il rischio di essere equivocata. Ma essa esprime l’amore, la speranza e il ringraziamento in Lui, fonte della vita.
Lettura del profeta Isaia 52,13 – 53,12
Nella seconda parte del libro di Isaia (capp 40-55), ricorre una figura misteriosa, detta del “servo di Javhè”, almeno quattro volte. Qui l’autore raggiunge uno dei vertici più alti della poesia e della rivelazione. Il Signore garantisce un risultato eccezionale per il proprio servo che può contare sull’aiuto e sulla potenza di Dio. Ma il quadro è terribile, desolante. Il servo è sfigurato e talmente inguardabile che sarà riscoperto dai popoli con orrore e raccapriccio e si meraviglieranno di questa impotenza e desolazione. Egli è l’uomo dei dolori, nato e cresciuto nel rifiuto e nel disprezzo. Eppure egli si è addossato il nostro male e il nostro dolore. Avevamo sbagliato tutto nel valutarlo, tanto da pensare che lo stesso nostro disprezzo fosse, prima di tutto, condiviso da Dio, essendo, questo servo, “castigato, percosso da Dio e umiliato”.Il servo sofferente, invece, mite e disprezzato, perseguitato e messo a morte, offre le proprie sofferenze per espiare i peccati degli uomini e diventa capo di tutti i giustificati davanti a Dio. Dio stesso, all’inizio, prende la parola: “Ecco, il mio servo avrà successo”: (52,13); poi il profeta o un gruppo anonimo continuano la narrazione della tragedia e della sofferenza e infine Dio riprende la parola per garantire la gloria al suo Cristo (53,11b- 12).
Così la rivelazione ci apre gli occhi: “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (v6).Il Signore prende sul serio l’amore e la pietà dei suoi fedeli.
La figura del servo che rappresenta il popolo in esilio ricapitola in sé tutte le caratteristiche degli eroi e dei profeti del Vecchio Testamento: Mosè, Geremia, Giobbe. Però le sorpassa tutte e diventa una figura che si proietta sul futuro con impressionante somiglianza con Gesù, colui che espia i peccati degli uomini. Gesù stesso, e lo si rileva dagli scritti del Nuovo Testamento, interpreta la sua opera e la sua morte alla luce di questo testo.
- Nei vv. 1-9 viene dettagliata la descrizione della umiliazione e delle profonde sofferenze del Servo che, innocente, prende sopra di sé i peccati degli altri e li espia. Questa “espiazione vicaria” fa intravedere il mistero e l’oscurità degli avvenimenti che toccano il servo di Dio a cui è legata la potenza di Dio che salva Israele (il braccio).
Manca la bellezza, che pure era considerata benedizione di Dio. Questo misterioso servo nasce come “radice in terra arida, come virgulto”, facendo riferimento alla dinastia di Davide ormai detronizzata (Is, 11,1.10). Egli rivive l’esperienza di Geremia (15,17) e di Giobbe (19,13-19), ripudiati e scherniti dai parenti e coetanei.
Egli è un innocente che espia i peccati, le pene e le sofferenze a cui dovrebbero essere sottoposti i peccatori. Con questa sostituzione noi otteniamo la pace. Per le sue cicatrici guariamo.
- vv. 10-12: Alla morte segue la riabilitazione e la vita sia del servo che della comunità dei giusti. Qui Dio interviene ancora direttamente.
Una riflessione che ci lascia perplessi nasce dalla meditazione di questa terribile esperienza di Gesù: tutta la sofferenza dei poveri, tutta l’angoscia dei giusti, tutta la pressione sui non violenti, nelle mani di Dio, ottengono il miracolo della pace, del cambiamento, della novità. Nessuna sofferenza va persa, ma ognuna diventa lievito di progetto e di vita nuova.
E questo è perché Dio mette le mani nella storia
Su questa linea desidero ricordare due testimonianze e due testamenti che, anche a noi, aprono gli occhi.
Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze religiose, è stato ucciso il 2 marzo da fondamentalisti islamici che lo hanno punito perché cercava di modificare la legge sulla blasfemia che, in 25 anni di applicazione, è costata la vita a centinaia di cristiani. Il suo testamento, splendido e generoso, dice: “Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, minacciato, perseguitato. Finché avrò vita, fino all’ultimo mio respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera gente, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri… Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani, qualunque sia la loro religione, vadano considerati innanzitutto come esseri umani… Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremmo guadagnati un posto ai piedi di Gesù e io potrò guardarlo senza provare vergogna”.Il Signore ha accettato l’umiliazione, il silenzio, la non violenza allora come oggi, dei monaci di Tibhirine in Algeria, morti martiri circa 15 anni fa e particolarmente conosciuti, in questi giorni, attraverso un film (“Uomini di Dio”), che racconta il loro itinerario spirituale e la loro scelta. Ci è rimasto uno splendido testamento dell’abate che spiega la propria fedeltà al Signore, alla propria vocazione di monaci in un popolo straniero ma sofferente, alla scelta di voler restare con i confratelli a condividere, con i poveri, la fatica e l’angoscia comuni.
Lettera agli Ebrei 12,1b-3
Nell’ultima parte della Lettera agli ebrei convertiti (10,19-13,22), l’autore biblico richiama significati e itinerari di “vita cristiana”. Egli fa riferimento a credenti in Cristo che faticano a mantenere salda la fede e spesso sono tentati di equivocare il loro rapporto con Gesù. Il capitolo 11, precedente, ha illustrato il significato della fede che i propri Padri hanno vissuto. ” Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio” (11,2). Ma il richiamo alla fede dei Padri è sviluppato come orientamento per giungere all’esempio perfetto e supremo del Signore Gesù. È in lui che bisogna concentrare l’attenzione, imparare la saggezza e affrontare con coraggio le difficoltà della sofferenza.Nel testo viene utilizzata un’immagine molto divulgata nel primo secolo: la corsa negli stadi. Già presente in altri contesti (1Corinzi 9:24-26; Filippesi 3:12-14) di Paolo, è adatta a identificare lo stile e le preoccupazioni di una comunità credente.”Deporre ogni peso, correre con perseveranza, tenere gli occhi fissi alla meta senza distrarsi” sono atteggiamenti propri di chi corre per ottenere una corona ed un riconoscimento di gloria. Ma sono anche scelte che i credenti debbono poter compiere, sapendo che questa corsa è orientata verso Cristo, origine di quella fede che in Lui viene portata a compimento.L’autore fa appello all’intelligenza e alla sensibilità dei credenti per individuare il significato del “deporre ogni peso”: liberarsi dal male (i peccati) e dalle preoccupazioni che assorbono eccessivamente l’impegno verso il Signore. E questa operazione non va fatta solo all’inizio della scelta credente ma va sviluppata, via via ogni giorno, nella vita.Mentre si cammina verso il Signore Gesù, un richiamo interessante può essere fatto all’abbigliamento dell’atleta che corre quasi completamente nudo, poiché vestiti e mantelli possono intralciare la corsa, o meglio, il ritmo costante e sostenuto (“la perseveranza”).Anzi il credente deve spogliarsi continuamente delle paure, delle preoccupazioni e del peccato che ostacolano il cammino.
E bisogna, “senza distrarsi, tenere fissi gli occhi su Gesù”. Nella sua fede, intravedendo la gloria di Dio, Gesù è stato capace di accettare la sofferenza. E come la sua fede coraggiosa e fedele gli ha fatto superare gli ostacoli per arrivare alla gloria di Dio, così anche noi siamo invitati allo stesso itinerario che Egli ci permette di sviluppare fino al riconoscimento ed alla gloria del Padre.