SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE – IV dopo L’EPIFANIA – COMMENTO AL VANGELO
28/01/2018
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE –
IV dopo L’EPIFANIA – Rito Ambrosiano
COMMENTO AL VANGELO di:
ALBERTO MAGGI osm- Centro studi biblici di Montefano
DON ANGELO CASATI
——————————————————————————————————————–
ALBERTO MAGGI osm -
Per la festa della Santa Famiglia, la chiesa ci presenta un testo dal vangelo di Luca, dove, a prima vista, più che una famiglia santa sembra una famiglia sconclusionata. I genitori, che non si accorgono che il figlio non è con loro, il figlio che rimane a Gerusalemme senza avvertire, senza avvisare i genitori, un rimprovero reciproco.
Allora, cerchiamo di vedere cos’è che in realtà l’evangelista ci vuole dire con questo brano. E, come sempre, dobbiamo ricordare questo, che i vangeli non sono cronaca, ma teologia, che nei vangeli non c’è una serie di fatti, ma delle verità che l’evangelista presenta alla comunità cristiana. Perché i vangeli non riguardano la storia, ma riguardano la fede. Ecco perché questo brano può dire qualcosa anche ai credenti di oggi.
Il vangelo è quello di Luca, al capitolo 2, dal versetto 41.
Scrive l’evangelista “I suoi genitori”. Ecco, già Luca ci dà un primo indizio: i genitori in questo brano non vengono mai nominati coi loro nomi, Maria e Giuseppe, ma sempre come “genitori” o “padre” o “madre”.
Ebbene l’evangelista, togliendo i nomi dei genitori, del padre e della madre di Gesù, vuole rappresentare in loro la frustrazione di Israele che non riconosce in Gesù il Messia atteso, un Messia che si comporta diversamente dalle loro aspettative.
“I genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua”, e stavolta, scrive Luca, quando Gesù ebbe dodici anni, portano pure lui
“secondo la consuetudine della festa”. L’obbligo in realtà partiva dal tredicesimo anno, ma qui si vede che è una famiglia ligia alle leggi, alle osservanze e addirittura portano il figlio un anno prima.
Durante questa festa si risiedeva una settimana, ma era sufficiente anche una permanenza di tre giorni. “Ma trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero”. Cosa vuol dire l’evangelista con questo episodio strano? Perché Gesù non ha avvertito i genitori e come mai, soprattutto, i genitori non se ne sono accorti?
Le spiegazioni date in passato erano infantili; si pensava, erroneamente, che ci fossero due carovane, una di soli uomini e una di sole donne. Quindi Giuseppe, nella carovana degli uomini ha pensato “beh, è ancora piccolo, sarà con la mamma”, e la madre, non vedendo il figlio, avrà pensato “beh, è già grandicello e sta con il padre”. Sono delle spiegazioni banali e infantili.
L’evangelista ci vuole presentare qualcosa di più serio. Gesù non segue i genitori, ma sono i genitori che dovranno seguire Gesù. Gesù è il nuovo. Già nell’annuncio dell’angelo a Zaccaria (1,17) gli era stato detto che Giovanni Battista doveva condurre il cuore dei padri verso i figli – il cuore è la mente – e non quello dei figli verso i padri. E’ l’antico che deve accogliere e comprendere il nuovo.
Quindi Gesù rimane a Gerusalemme. Se ne accorgono dopo una giornata di viaggio, tornano a Gerusalemme, e lo ritrovano dopo ben tre giorni; significa che l’hanno cercato ovunque, meno che nell’unico luogo dove dovevano cercarlo,
“e lo trovano seduto in mezzo ai maestri”. Perché l’evangelista usa questa espressione “in mezzo”? Nel Libro del Siracide, al capitolo 24, al versetto 1, “in mezzo” è il posto della sapienza: “la sapienza loda se stessa, si vanta in mezzo al suo popolo”. Quindi l’evangelista vede Gesù come espressione della sapienza divina. Sta in mezzo ai dottori del tempio e li ascolta e soprattutto li interroga senza attendere da loro una risposta.
“E tutti quelli che lo udivano”, ci dice Luca, “erano fuori di sé”, questa è l’espressione letterale adoperata dall’evangelista, erano stupiti.
E’ uno stupore negativo, tanto è vero che la prossima volta che Gesù ritornerà nel tempio, questi dottori della legge si rivolteranno contro di lui per farlo morire.
“Al vederlo restarono stupiti”, come anche sua madre che gli dice: “«Figlio»” – letteralmente l’espressione adoperata dall’evangelista è “Figlio mio” o “bambino”, usando un termine greco che indica “colui che viene partorito”, cioè qualcuno sul quale la madre ha dei diritti, ha dei poteri; ed ecco qui il primo errore di Maria.
Lei pensa di avere dei diritti su Gesù. Ripeto, l’evangelista non ci presenta Maria concretamente, ma la madre, l’origine di Gesù. E’ il popolo di Israele, raffigurato nella madre, che si rivolge al figlio pensando di avere dei diritti, dei poteri.
“«Perché ci hai fatto questo?»”.
Ecco il secondo errore della madre, “«Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo»”. Ed ecco la risposta di Gesù, dal punto di vista storico può sembrare strano che l’unica volta nel vangelo in cui Gesù si rivolge a sua madre e con parole di aspro rimprovero.
”E Gesù rispose loro: «Perché mi cercavate?»”.
Quindi Gesù protesta, non dovevano cercarlo, e poi ecco che Gesù chiarisce, mette i puntini sulle “i”, “«Non sapevate»”, quindi li tratta da ignoranti, è una cosa che dovevano sapere, “«che io devo»” – il verbo “dovere” è un verbo tecnico, adoperato dagli evangelisti, per indicare il compimento della volontà divina – “«che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»”
La madre ha commesso l’errore di dire “ecco, tuo padre ed io”, e Gesù mette subito le cose in chiaro. Suo padre non è il marito di Maria, non è Giuseppe. Il padre è il Padre che è nei cieli, ed è lì che Gesù deve stare, occuparsi delle cose del Padre suo. E questo fa parte della volontà divina.
Ecco Gesù si presenta subito come colui che non segue i padri di Israele, ma segue il Padre. E’ la novità che viene portata da Gesù. “Ma essi”, annota l’evangelista, “non compresero ciò che aveva detto loro”.E nella madre riaffiora quella strana benedizione che si è trasformata in una parola agghiacciante, quando Simeone le aveva detto “Una spada attraverserà tutta la tua vita”.
La spada è l’immagine, nella Bibbia, della parola di Dio, una spada che arriva a dividere la persona. Ebbene, nella madre di Gesù questa spada incominci ad affiorare e a dividere la sua esistenza. E l’evangelista conclude l’episodio dicendo che, se tutti quanti sono stupiti, anche sua madre, ma “sua madre custodiva queste cose nel suo cuore”.
Di fronte alla novità, una novità non compresa, questo Gesù che non segue i padri, ma si manifesta in una maniera completamente nuova, tutti sono stupiti, anche Maria, ma Maria non rifiuta la novità; Maria è la donna che accoglie il nuovo anche quando non sembra capirlo, e questo inizierà in lei un processo di trasformazione che la porterà da madre di Gesù a diventare la discepola del Cristo.
Ma il cammino è ancora lungo e doloroso
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DON ANGELO CASATI
Non è un avvenimento di tutto riposo quello raccontato oggi dal vangelo di Luca a proposito della famiglia di Nazaret ed è l’unico frammento nei vangeli che apre qualche fessura sull’adolescenza di Gesù. Anche se immediatamente ci accorgiamo che l’episodio è colmo di allusioni. Un ragazzo che per tre giorni non si vede, come se fosse scomparso nel nulla e dopo tre giorni lo ritrovano nel tempio! “Tuo padre ed io angosciati ti ci cercavamo”. Ed ecco l’allusione: Gesù, scomparso per tre giorni, ucciso di croce, nel buio della morte, anche lui cercato. Maria di Magdala e le altre donne a cercarlo angosciate! E dopo tre giorni ritrovato, nell’immagine del vivente.
Come se si ripetesse una angoscia per una perdita. Quasi assistessimo, lasciatemi dire, a una costante, a qualcosa che appartiene alla vita e quindi anche alle nostre famiglie. Che non osano certo competere in santità con quel figlio o quella madre o quel padre: “Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”.
E infatti da che cosa viene l’angoscia, se non forse soprattutto dalla sensazione della perdita? Che poi uno di anni ne abbia dodici o più di trenta, se c’è amore, poco conta, sempre angoscia è, conta il dolore della perdita. E, lasciatemi dire, ci sono tanti modi di perdersi anche nelle nostre case o nelle relazioni. Tante le perdite. Forse è una perdita anche non stare più dietro ai pensieri di un altro, come se in qualche modo fosse scomparso in un altro mondo, di pensieri, di attese, di sogni. Non c’è più. Come quel figlio. Che non c’era più. Con i pensieri! L’angoscia della perdita.
E nascosti in certe situazioni non ti sembrano solo gli altri, a volte nascosto, invisibile, ti sembra Dio, Dio stesso. Perché a volte le cose che accadono sembrano insinuarti che Lui stesso si sia nascosto.
E’ il dolore per il nascondimento di Dio, di cui non riconosci più i progetti. Come se si fosse allontanato. Anche lui inghiottito per strade diverse. Un pensiero questo, che mi sfiorava leggendo il brano del rotolo di Isaia. Dove è raccontato tutto lo sconcerto del popolo di Israele per un Dio che sembra essersi allontanato da ogni progetto sano, ripiegando, per la rinascita del suo popolo, su Ciro, su uno imperatore straniero. Dio sembra essersi allontanato. Ebbene, coloro che saranno stati nella tentazione di gridare a un Dio che abbandona, dovranno ricredersi. A fatti compiuti, dovranno riconoscere: “Veramente tu sei un Dio nascosto. Dio dì Israele, salvatore”. E cioè: “non è vero che tu sei assente, sei semplicemente nascosto. Invisibili le tue orme sulle sabbie della terra”.
Ma rimane il dolore. Angosciati per il dolore della perdita. Dove lo troveranno? Nel tempio. E non si era smarrito, come tante volte l’abbiamo raccontata, no, ha scelto di stare là. Ha creato una distanza, tra loro e sè. E forse, lasciatemi dire, lo avessero trovato smarrito , ci avrebbero sofferto meno, meno che per quelle parole che creavano distanza: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
“Ma essi” è scritto “non compresero”. Eppure, perdonate l’interpretazione forse un po’ stravagante, in fondo con quelle sue parole lui li onorava. Come dicesse: “Non è poi tutto consequenziale? E chi se non voi? Voi mi avete educato così! E chi se non voi? Voi mi avete educato a occuparmi delle cose di Dio! E chi se non voi? Voi mi avete insegnato a pregarlo ogni giorno così”. Non è forse vero che a Gesù fin da piccolo avevano insegnato a pregare Dio con la preghiera che ogni ebreo recita più volte al giorno, la preghiera che ancora oggi ininterrottamente Israele rivolge a Dio. Sono le parole con cui Gesù stesso ogni giorno si rivolgeva a Dio, quando si alzava e quando si coricava, quando usciva di casa e quando rientrava. La preghiera tratta dal Libro del Deuteronomio diceva: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore,con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno. Ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt 6,4-9).
Non gli avevano forse insegnato ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze? E quei precetti, che tentava di sondare ascoltando e interrogando i maestri nel tempio, non erano quelli che loro gli avevano messo davanti agli occhi? Li aveva visti come scritti sugli stipiti della sua casa!
Tutti nelle nostre case, nelle nostre famiglie dovremmo avere orgoglio -o no? -per un figlio che si chiede che cosa sia la vita e che cosa sia la morte, da dove veniamo e dove andiamo e che cosa vuol dire essere degni del nome di uomini sulla terra? E non dovremmo avere gioia per un figlio che chiede di essere fedele al sogno che lo abita? E lasciarlo andare, per le sue strade? E poterci raccontare queste cose nelle case.
Non è sempre facile, perché si crea anche una distanza, senza la quale si rimane infanti in eterno. “Il padre e la madre” è scritto “non compresero”, eppure quelle parole se le tenevano a confronto nel cuore. E non è forse già gran cosa, la cosa che ci fa grandi, interrogarci? Loro si interrogavano.
Penso che oggi ci tocchi, così si dice, una sfida, quella educativa. Che sta proprio qui nel condividere nelle nostre case le grandi domande sulla vita, nel cercare insieme stili di vita che siano degni del nostro essere uomini, orizzonti grandi e non meschini, quelli cui ci ha aperto la fede in Gesù, senza cedere mai all’abbaglio di scindere le cose di Dio dalle case degli uomini.
E dunque ci tocca, come a quel figlio, tornare a Nazaret. Ritornare. E aiutarci a vivere la casa, la città, il mondo secondo il sogno di Dio. Che ci abita.
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE – IV dopo L’EPIFANIA – COMMENTO AL VANGELO
28/01/2018
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE –
IV dopo L’EPIFANIA – Rito Ambrosiano
COMMENTO AL VANGELO di:
ALBERTO MAGGI osm- Centro studi biblici di Montefano
DON ANGELO CASATI
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ALBERTO MAGGI osm -
Per la festa della Santa Famiglia, la chiesa ci presenta un testo dal vangelo di Luca, dove, a prima vista, più che una famiglia santa sembra una famiglia sconclusionata. I genitori, che non si accorgono che il figlio non è con loro, il figlio che rimane a Gerusalemme senza avvertire, senza avvisare i genitori, un rimprovero reciproco.
Allora, cerchiamo di vedere cos’è che in realtà l’evangelista ci vuole dire con questo brano. E, come sempre, dobbiamo ricordare questo, che i vangeli non sono cronaca, ma teologia, che nei vangeli non c’è una serie di fatti, ma delle verità che l’evangelista presenta alla comunità cristiana. Perché i vangeli non riguardano la storia, ma riguardano la fede. Ecco perché questo brano può dire qualcosa anche ai credenti di oggi.
Il vangelo è quello di Luca, al capitolo 2, dal versetto 41.
Scrive l’evangelista “I suoi genitori”. Ecco, già Luca ci dà un primo indizio: i genitori in questo brano non vengono mai nominati coi loro nomi, Maria e Giuseppe, ma sempre come “genitori” o “padre” o “madre”.
Ebbene l’evangelista, togliendo i nomi dei genitori, del padre e della madre di Gesù, vuole rappresentare in loro la frustrazione di Israele che non riconosce in Gesù il Messia atteso, un Messia che si comporta diversamente dalle loro aspettative.
“I genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua”, e stavolta, scrive Luca, quando Gesù ebbe dodici anni, portano pure lui
“secondo la consuetudine della festa”. L’obbligo in realtà partiva dal tredicesimo anno, ma qui si vede che è una famiglia ligia alle leggi, alle osservanze e addirittura portano il figlio un anno prima.
Durante questa festa si risiedeva una settimana, ma era sufficiente anche una permanenza di tre giorni. “Ma trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero”. Cosa vuol dire l’evangelista con questo episodio strano? Perché Gesù non ha avvertito i genitori e come mai, soprattutto, i genitori non se ne sono accorti?
Le spiegazioni date in passato erano infantili; si pensava, erroneamente, che ci fossero due carovane, una di soli uomini e una di sole donne. Quindi Giuseppe, nella carovana degli uomini ha pensato “beh, è ancora piccolo, sarà con la mamma”, e la madre, non vedendo il figlio, avrà pensato “beh, è già grandicello e sta con il padre”. Sono delle spiegazioni banali e infantili.
L’evangelista ci vuole presentare qualcosa di più serio. Gesù non segue i genitori, ma sono i genitori che dovranno seguire Gesù. Gesù è il nuovo. Già nell’annuncio dell’angelo a Zaccaria (1,17) gli era stato detto che Giovanni Battista doveva condurre il cuore dei padri verso i figli – il cuore è la mente – e non quello dei figli verso i padri. E’ l’antico che deve accogliere e comprendere il nuovo.
Quindi Gesù rimane a Gerusalemme. Se ne accorgono dopo una giornata di viaggio, tornano a Gerusalemme, e lo ritrovano dopo ben tre giorni; significa che l’hanno cercato ovunque, meno che nell’unico luogo dove dovevano cercarlo,
“e lo trovano seduto in mezzo ai maestri”. Perché l’evangelista usa questa espressione “in mezzo”? Nel Libro del Siracide, al capitolo 24, al versetto 1, “in mezzo” è il posto della sapienza: “la sapienza loda se stessa, si vanta in mezzo al suo popolo”. Quindi l’evangelista vede Gesù come espressione della sapienza divina. Sta in mezzo ai dottori del tempio e li ascolta e soprattutto li interroga senza attendere da loro una risposta.
“E tutti quelli che lo udivano”, ci dice Luca, “erano fuori di sé”, questa è l’espressione letterale adoperata dall’evangelista, erano stupiti.
E’ uno stupore negativo, tanto è vero che la prossima volta che Gesù ritornerà nel tempio, questi dottori della legge si rivolteranno contro di lui per farlo morire.
“Al vederlo restarono stupiti”, come anche sua madre che gli dice: “«Figlio»” – letteralmente l’espressione adoperata dall’evangelista è “Figlio mio” o “bambino”, usando un termine greco che indica “colui che viene partorito”, cioè qualcuno sul quale la madre ha dei diritti, ha dei poteri; ed ecco qui il primo errore di Maria.
Lei pensa di avere dei diritti su Gesù. Ripeto, l’evangelista non ci presenta Maria concretamente, ma la madre, l’origine di Gesù. E’ il popolo di Israele, raffigurato nella madre, che si rivolge al figlio pensando di avere dei diritti, dei poteri.
“«Perché ci hai fatto questo?»”.
Ecco il secondo errore della madre, “«Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo»”. Ed ecco la risposta di Gesù, dal punto di vista storico può sembrare strano che l’unica volta nel vangelo in cui Gesù si rivolge a sua madre e con parole di aspro rimprovero.
”E Gesù rispose loro: «Perché mi cercavate?»”.
Quindi Gesù protesta, non dovevano cercarlo, e poi ecco che Gesù chiarisce, mette i puntini sulle “i”, “«Non sapevate»”, quindi li tratta da ignoranti, è una cosa che dovevano sapere, “«che io devo»” – il verbo “dovere” è un verbo tecnico, adoperato dagli evangelisti, per indicare il compimento della volontà divina – “«che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»”
La madre ha commesso l’errore di dire “ecco, tuo padre ed io”, e Gesù mette subito le cose in chiaro. Suo padre non è il marito di Maria, non è Giuseppe. Il padre è il Padre che è nei cieli, ed è lì che Gesù deve stare, occuparsi delle cose del Padre suo. E questo fa parte della volontà divina.
Ecco Gesù si presenta subito come colui che non segue i padri di Israele, ma segue il Padre. E’ la novità che viene portata da Gesù. “Ma essi”, annota l’evangelista, “non compresero ciò che aveva detto loro”. E nella madre riaffiora quella strana benedizione che si è trasformata in una parola agghiacciante, quando Simeone le aveva detto “Una spada attraverserà tutta la tua vita”.
La spada è l’immagine, nella Bibbia, della parola di Dio, una spada che arriva a dividere la persona. Ebbene, nella madre di Gesù questa spada incominci ad affiorare e a dividere la sua esistenza. E l’evangelista conclude l’episodio dicendo che, se tutti quanti sono stupiti, anche sua madre, ma “sua madre custodiva queste cose nel suo cuore”.
Di fronte alla novità, una novità non compresa, questo Gesù che non segue i padri, ma si manifesta in una maniera completamente nuova, tutti sono stupiti, anche Maria, ma Maria non rifiuta la novità; Maria è la donna che accoglie il nuovo anche quando non sembra capirlo, e questo inizierà in lei un processo di trasformazione che la porterà da madre di Gesù a diventare la discepola del Cristo.
Ma il cammino è ancora lungo e doloroso
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DON ANGELO CASATI
Non è un avvenimento di tutto riposo quello raccontato oggi dal vangelo di Luca a proposito della famiglia di Nazaret ed è l’unico frammento nei vangeli che apre qualche fessura sull’adolescenza di Gesù. Anche se immediatamente ci accorgiamo che l’episodio è colmo di allusioni. Un ragazzo che per tre giorni non si vede, come se fosse scomparso nel nulla e dopo tre giorni lo ritrovano nel tempio! “Tuo padre ed io angosciati ti ci cercavamo”. Ed ecco l’allusione: Gesù, scomparso per tre giorni, ucciso di croce, nel buio della morte, anche lui cercato. Maria di Magdala e le altre donne a cercarlo angosciate! E dopo tre giorni ritrovato, nell’immagine del vivente.
Come se si ripetesse una angoscia per una perdita. Quasi assistessimo, lasciatemi dire, a una costante, a qualcosa che appartiene alla vita e quindi anche alle nostre famiglie. Che non osano certo competere in santità con quel figlio o quella madre o quel padre: “Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”.
E infatti da che cosa viene l’angoscia, se non forse soprattutto dalla sensazione della perdita? Che poi uno di anni ne abbia dodici o più di trenta, se c’è amore, poco conta, sempre angoscia è, conta il dolore della perdita. E, lasciatemi dire, ci sono tanti modi di perdersi anche nelle nostre case o nelle relazioni. Tante le perdite. Forse è una perdita anche non stare più dietro ai pensieri di un altro, come se in qualche modo fosse scomparso in un altro mondo, di pensieri, di attese, di sogni. Non c’è più. Come quel figlio. Che non c’era più. Con i pensieri! L’angoscia della perdita.
E nascosti in certe situazioni non ti sembrano solo gli altri, a volte nascosto, invisibile, ti sembra Dio, Dio stesso. Perché a volte le cose che accadono sembrano insinuarti che Lui stesso si sia nascosto.
E’ il dolore per il nascondimento di Dio, di cui non riconosci più i progetti. Come se si fosse allontanato. Anche lui inghiottito per strade diverse. Un pensiero questo, che mi sfiorava leggendo il brano del rotolo di Isaia. Dove è raccontato tutto lo sconcerto del popolo di Israele per un Dio che sembra essersi allontanato da ogni progetto sano, ripiegando, per la rinascita del suo popolo, su Ciro, su uno imperatore straniero. Dio sembra essersi allontanato. Ebbene, coloro che saranno stati nella tentazione di gridare a un Dio che abbandona, dovranno ricredersi. A fatti compiuti, dovranno riconoscere: “Veramente tu sei un Dio nascosto. Dio dì Israele, salvatore”. E cioè: “non è vero che tu sei assente, sei semplicemente nascosto. Invisibili le tue orme sulle sabbie della terra”.
Ma rimane il dolore. Angosciati per il dolore della perdita. Dove lo troveranno? Nel tempio. E non si era smarrito, come tante volte l’abbiamo raccontata, no, ha scelto di stare là. Ha creato una distanza, tra loro e sè. E forse, lasciatemi dire, lo avessero trovato smarrito , ci avrebbero sofferto meno, meno che per quelle parole che creavano distanza: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
“Ma essi” è scritto “non compresero”. Eppure, perdonate l’interpretazione forse un po’ stravagante, in fondo con quelle sue parole lui li onorava. Come dicesse: “Non è poi tutto consequenziale? E chi se non voi? Voi mi avete educato così! E chi se non voi? Voi mi avete educato a occuparmi delle cose di Dio! E chi se non voi? Voi mi avete insegnato a pregarlo ogni giorno così”. Non è forse vero che a Gesù fin da piccolo avevano insegnato a pregare Dio con la preghiera che ogni ebreo recita più volte al giorno, la preghiera che ancora oggi ininterrottamente Israele rivolge a Dio. Sono le parole con cui Gesù stesso ogni giorno si rivolgeva a Dio, quando si alzava e quando si coricava, quando usciva di casa e quando rientrava. La preghiera tratta dal Libro del Deuteronomio diceva: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno. Ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt 6,4-9).
Non gli avevano forse insegnato ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze? E quei precetti, che tentava di sondare ascoltando e interrogando i maestri nel tempio, non erano quelli che loro gli avevano messo davanti agli occhi? Li aveva visti come scritti sugli stipiti della sua casa!
Tutti nelle nostre case, nelle nostre famiglie dovremmo avere orgoglio -o no? -per un figlio che si chiede che cosa sia la vita e che cosa sia la morte, da dove veniamo e dove andiamo e che cosa vuol dire essere degni del nome di uomini sulla terra? E non dovremmo avere gioia per un figlio che chiede di essere fedele al sogno che lo abita? E lasciarlo andare, per le sue strade? E poterci raccontare queste cose nelle case.
Non è sempre facile, perché si crea anche una distanza, senza la quale si rimane infanti in eterno. “Il padre e la madre” è scritto “non compresero”, eppure quelle parole se le tenevano a confronto nel cuore. E non è forse già gran cosa, la cosa che ci fa grandi, interrogarci? Loro si interrogavano.
Penso che oggi ci tocchi, così si dice, una sfida, quella educativa. Che sta proprio qui nel condividere nelle nostre case le grandi domande sulla vita, nel cercare insieme stili di vita che siano degni del nostro essere uomini, orizzonti grandi e non meschini, quelli cui ci ha aperto la fede in Gesù, senza cedere mai all’abbaglio di scindere le cose di Dio dalle case degli uomini.
E dunque ci tocca, come a quel figlio, tornare a Nazaret. Ritornare. E aiutarci a vivere la casa, la città, il mondo secondo il sogno di Dio. Che ci abita.