III DI QUARESIMA – DOMENICA DI ABRAMO – Commento al Vangelo
19/03/2017
III DI QUARESIMA – DOMENICA DI ABRAMO –
ABRAMO ESULTÒ NELLA SPERANZA DI VEDERE IL MIO GIORNO; LO VIDE E FU PIENO DI GIOIA.
Commento al Vangelo di Don Angelo Casati –
dal sito “SULLA SOGLIA.IT”
Gv 8, 31-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo.Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».
Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Lungo il cammino della Quaresima incrociamo oggi questa pagina durissima del vangelo di Giovanni. Perfino Gesù sembra indurirsi con gli uomini della presunzione, con gli uomini che sbandierano appartenenze, con gli uomini che hanno sulle loro labbra, ma forse ancor più nel loro cuore, la parola “noi”:” noi siamo discendenza di Abramo”, “noi abbiamo un solo Padre Dio”, noi non siamo meticci. Questo “noi” orgoglioso che attraversa, dal principio alla fine, il racconto di Giovanni. E che non può non finire se non con il tentativo di lapidare qualcuno: “Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui”.
Ecco, già qui, a questo proposito, a proposito del “noi” dovremmo fermarci e operare una verifica della vita. E chiederci se il “noi” che, a volte, ci ritroviamo sulle labbra è un noi che riunisce, come è nella natura bellissima della parola, un noi che riunisce, che accomuna, che raduna, oppure un noi che divide, che fa separazione, che esclude. Un noi che ci fa uomini di parte o un noi che ci fa uomini di comunione,? Un noi che ci fa uomini di divisione o un noi che ci fa uomini di riconciliazione?
In questo senso non può non colpirci la figura di Mosè che sale sul monte con quelle due tavole della legge che non sono le prime, che non può brandire orgogliosamente, le prime furono fatte a pezzi in vista del peccato di idolatria del suo popolo. C’è da confessare non la purezza, ma la contaminazione. E Mosè, anche questo bellissimo, non si separa, non usa nemmeno la parola “io” per separarsi. Usa solo la parola “noi” per mettersi anche lui dentro, dentro un noi di dura cervice. Bellissima e accorata la sua preghiera che ricorda a Dio la sua misericordia. Preghiera di Mosè, preghiera della nostra Quaresima: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona – non dice la “sua” colpa – ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato. Fa’ di noi la tua eredità”.
Ci chiediamo come usiamo la parola “noi”, ma anche come usiamo il nome di Abramo.
Perché, voi lo sapete, si usano nomi. Come puoi – ce lo chiediamo – usare il nome di Abramo, se sei della razza di questo gruppo di Giudei, razza chiusa, razza sorda, razza murata?
Abramo è l’uomo che Dio chiama a guardare, nella notte, le stelle, è l’uomo che parte dietro una parola, la parola di Dio. Abramo è la terra in movimento, è la scoperta di nuovi orizzonti, è la fede in un Dio che non ha mai finito di mostrarti cose nuove. Abramo è il coraggio di lasciare la terra, di lasciare un figlio per ritrovarlo in modo nuovo e più profondo.
Allora, se lo spirito che ti anima è quello di Abramo, sei uomo, sei donna attenta a cogliere le voci. Tu sai che si possono udire nelle notti chiare di stelle come capitò ad Abramo, o in un meriggio assolato e accecante come capitò alla donna samaritana al pozzo di Sicar. Se lo spirito che ti anima è quello di Abramo, sei uomo, sei donna più dell’ascolto che dei discorsi, più del cammino che dello stanziamento.
Se lo spirito che ti anima è quello di Abramo, sei uomo, sei donna cosciente che la verità è una terra non al presente ma la futuro. Diceva Gesù: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
Mi colpivano nella lettura, ma penso che abbiano colpito anche voi, questi verbi al futuro: “conoscerete la verità”. La conoscerete attingendo insonnemente, al pozzo della Parola di Gesù: “se rimanete fedeli alla mia parola”.
“E la verità vi farà liberi.” Anche qui un verbo al futuro. Perché si può rimanere nella casa e non essere liberi. Si può rimanere nel tempio come quei Giudei ed essere schiavi del pregiudizio, schiavi di parole che rimangono parole, schiavi di una legge che soffoca lo spirito. Ricordate la parabola del figlio maggiore che non se ne va di casa, ma vive nella casa di suo padre come uno schiavo, nell’orizzonte non dell’amore che ci fa liberi, ma delle prescrizioni che ci fanno schiavi: a tanto deve corrispondere tanto.
Se sei figlio – Gesù distingue lo schiavo dal figlio – se sei figlio, se non sei nell’orizzonte delle prestazioni ma dell’amore, ti senti libero, respiri libertà dentro di te, la libertà dalle convenzioni, dalle mode, dalle opinioni. Senti che hai ancora la chiarezza e il coraggio di chiamare valori i valori e idoli gli idoli. Ti senti fiorire: “Se rimanete fedeli alla mia Parola” dice Gesù. La Parola ci fa fiorire. In libertà. Oggi, osservando la camelia, fiorita davanti all’ambone della Parola di Dio, , mi veniva spontaneo pregare che la vita di ciascuno di noi, per grazia, in forza della Parola di Dio, possa in questa Quaresima fiorire in libertà. Come la camelia.
Liberaci, o Signore.
In una società dove tutto deve stare nei programmi e nelle previsioni, donaci, o Signore, la fede di Abramo, l’uomo che sa lasciare la terra conosciuta dietro la voce che viene dall’alto. Ti preghiamo.
Dietro le nostre rivendicazioni di libertà spesso, o Signore, nascondiamo egoismi personali e di gruppo. Donaci la tua verità che ci fa veramente liberi. Ti preghiamo.
Libera le chiese, Signore, da ogni arroganza dello spirito. Donaci di credere a una promessa, che è benedizione per tutti i popoli. Ti preghiamo.
Ti affidiamo, Signore, le grandi religioni della terra, che onorano Abramo come il loro padre nella fede. E ti chiediamo che mai più sulla terra la fede e la religione siano usate come strumento di violenza sulle coscienze e sui popoli. Ti preghiamo.
Chiediamo per i credenti, Signore, che non si nascondano dietro le parole religiose: vera religione sia adorare te solo e soccorrere i più deboli. Ti preghiamo.
III DI QUARESIMA – DOMENICA DI ABRAMO – Commento al Vangelo
19/03/2017
III DI QUARESIMA – DOMENICA DI ABRAMO –
ABRAMO ESULTÒ NELLA SPERANZA DI VEDERE IL MIO GIORNO; LO VIDE E FU PIENO DI GIOIA.
Commento al Vangelo di Don Angelo Casati –
dal sito “SULLA SOGLIA.IT”
Gv 8, 31-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».
Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Lungo il cammino della Quaresima incrociamo oggi questa pagina durissima del vangelo di Giovanni. Perfino Gesù sembra indurirsi con gli uomini della presunzione, con gli uomini che sbandierano appartenenze, con gli uomini che hanno sulle loro labbra, ma forse ancor più nel loro cuore, la parola “noi”:” noi siamo discendenza di Abramo”, “noi abbiamo un solo Padre Dio”, noi non siamo meticci. Questo “noi” orgoglioso che attraversa, dal principio alla fine, il racconto di Giovanni. E che non può non finire se non con il tentativo di lapidare qualcuno: “Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui”.
Ecco, già qui, a questo proposito, a proposito del “noi” dovremmo fermarci e operare una verifica della vita. E chiederci se il “noi” che, a volte, ci ritroviamo sulle labbra è un noi che riunisce, come è nella natura bellissima della parola, un noi che riunisce, che accomuna, che raduna, oppure un noi che divide, che fa separazione, che esclude. Un noi che ci fa uomini di parte o un noi che ci fa uomini di comunione,? Un noi che ci fa uomini di divisione o un noi che ci fa uomini di riconciliazione?
In questo senso non può non colpirci la figura di Mosè che sale sul monte con quelle due tavole della legge che non sono le prime, che non può brandire orgogliosamente, le prime furono fatte a pezzi in vista del peccato di idolatria del suo popolo. C’è da confessare non la purezza, ma la contaminazione. E Mosè, anche questo bellissimo, non si separa, non usa nemmeno la parola “io” per separarsi. Usa solo la parola “noi” per mettersi anche lui dentro, dentro un noi di dura cervice. Bellissima e accorata la sua preghiera che ricorda a Dio la sua misericordia. Preghiera di Mosè, preghiera della nostra Quaresima: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona – non dice la “sua” colpa – ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato. Fa’ di noi la tua eredità”.
Ci chiediamo come usiamo la parola “noi”, ma anche come usiamo il nome di Abramo.
Perché, voi lo sapete, si usano nomi. Come puoi – ce lo chiediamo – usare il nome di Abramo, se sei della razza di questo gruppo di Giudei, razza chiusa, razza sorda, razza murata?
Abramo è l’uomo che Dio chiama a guardare, nella notte, le stelle, è l’uomo che parte dietro una parola, la parola di Dio. Abramo è la terra in movimento, è la scoperta di nuovi orizzonti, è la fede in un Dio che non ha mai finito di mostrarti cose nuove. Abramo è il coraggio di lasciare la terra, di lasciare un figlio per ritrovarlo in modo nuovo e più profondo.
Allora, se lo spirito che ti anima è quello di Abramo, sei uomo, sei donna attenta a cogliere le voci. Tu sai che si possono udire nelle notti chiare di stelle come capitò ad Abramo, o in un meriggio assolato e accecante come capitò alla donna samaritana al pozzo di Sicar. Se lo spirito che ti anima è quello di Abramo, sei uomo, sei donna più dell’ascolto che dei discorsi, più del cammino che dello stanziamento.
Se lo spirito che ti anima è quello di Abramo, sei uomo, sei donna cosciente che la verità è una terra non al presente ma la futuro. Diceva Gesù: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
Mi colpivano nella lettura, ma penso che abbiano colpito anche voi, questi verbi al futuro: “conoscerete la verità”. La conoscerete attingendo insonnemente, al pozzo della Parola di Gesù: “se rimanete fedeli alla mia parola”.
“E la verità vi farà liberi.” Anche qui un verbo al futuro. Perché si può rimanere nella casa e non essere liberi. Si può rimanere nel tempio come quei Giudei ed essere schiavi del pregiudizio, schiavi di parole che rimangono parole, schiavi di una legge che soffoca lo spirito. Ricordate la parabola del figlio maggiore che non se ne va di casa, ma vive nella casa di suo padre come uno schiavo, nell’orizzonte non dell’amore che ci fa liberi, ma delle prescrizioni che ci fanno schiavi: a tanto deve corrispondere tanto.
Se sei figlio – Gesù distingue lo schiavo dal figlio – se sei figlio, se non sei nell’orizzonte delle prestazioni ma dell’amore, ti senti libero, respiri libertà dentro di te, la libertà dalle convenzioni, dalle mode, dalle opinioni. Senti che hai ancora la chiarezza e il coraggio di chiamare valori i valori e idoli gli idoli. Ti senti fiorire: “Se rimanete fedeli alla mia Parola” dice Gesù. La Parola ci fa fiorire. In libertà. Oggi, osservando la camelia, fiorita davanti all’ambone della Parola di Dio, , mi veniva spontaneo pregare che la vita di ciascuno di noi, per grazia, in forza della Parola di Dio, possa in questa Quaresima fiorire in libertà. Come la camelia.
Liberaci, o Signore.
In una società dove tutto deve stare nei programmi e nelle previsioni, donaci, o Signore, la fede di Abramo, l’uomo che sa lasciare la terra conosciuta dietro la voce che viene dall’alto. Ti preghiamo.
Dietro le nostre rivendicazioni di libertà spesso, o Signore, nascondiamo egoismi personali e di gruppo. Donaci la tua verità che ci fa veramente liberi. Ti preghiamo.
Libera le chiese, Signore, da ogni arroganza dello spirito. Donaci di credere a una promessa, che è benedizione per tutti i popoli. Ti preghiamo.
Ti affidiamo, Signore, le grandi religioni della terra, che onorano Abramo come il loro padre nella fede. E ti chiediamo che mai più sulla terra la fede e la religione siano usate come strumento di violenza sulle coscienze e sui popoli. Ti preghiamo.
Chiediamo per i credenti, Signore, che non si nascondano dietro le parole religiose: vera religione sia adorare te solo e soccorrere i più deboli. Ti preghiamo.