03/09/2017

I DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE 

Commento su Is 65,13-19;Ef 5,6-14;Lc 9,7-11

Nel Signore gioisce il nostro cuore

Anno A – Rito Ambrosiano

don Raffaello Ciccone

Isaia 65, 13-19

Siamo nel periodo del post- esilio, il tempo del ritorno dopo la deportazione a Babilonia (sec VI-V a.C). Il popolo, solo una parte degli esiliati, ha accettato di ritornare, ricco di sogni di grandezza. Ma tutti scoprono la povertà e la fatica, popolo povero nei confronti degli altri popoli vicini, ricchi e pericolosi, sempre tentati di prevaricare per annientare chi si è intromesso. Il capitolo precedente (64) richiama una bella lamentazione che sale a Dio come supplica, ricca di fede e carica di immagini che manifestano la coscienza della propria impurità, desolazione, umiliazione. Ma chi prega, a nome del popolo, ha una grande fiducia nel Signore e si fida delle sue promesse. Vede povertà e deserto attorno, eppure sa di poter contare sulla promessa del Signore.

E il Signore garantisce, nel testo che leggiamo oggi, che metterà mano con la sua misericordia e la sua amicizia per aiutare i giusti. E se si parla inizialmente del destino dei ribelli, si stabilisce un confronto con i servi di Dio (vv 1-12); quindi si apre l’orizzonte sulla sorte di chi è fedele per concludere nella descrizione del destino dei giusti.

Ci sono quattro contrapposizioni (versetti 13-14) sulla sorte dei fedeli e dei ribelli a cui segue la sentenza definitiva dei rispettivi destini (versetti 15-16 a). Le quattro contrapposizioni, “sulla fame, sulla sete, sulla gioia del successo e sulla contentezza del cuore”, iniziano tutte con: “Ecco i miei servi”. Nel versetto 15 c’è il richiamo al destino definitivo che suonerà come imprecazione di morte: nessuno ricorderà i malvagi se non per lanciare maledizioni. Ai servi del Signore, invece, è promesso un nome diverso nel quale si esprimerà l’inizio della nuova era, caratterizzata dalla salvezza di Dio poiché sarà scelto da Lui.

Il nome di Dio garantirà la benedizione, l’accordo è pieno, la fedeltà della parola sarà senza ambiguità, il ricordo di una vita che ha superato la paura e l’angoscia del male sarà dimenticato, diventando solo memoria di benedizione. “Si invocherà la benedizione del Signore e si giurerà nel nome del Dio fedele”. La promessa della salvezza futura si compirà (vv 18-19).

Il mondo, trasformato e rinnovato dalla forza del Signore, acquista lineamenti cosmici di splendore impensabili (” nuovi cieli e nuova terra”). Questo linguaggio è presente in Geremia (31,31-34), prosegue con Ezechiele (36,24-28). Ma lo si ritrova ancora in Isaia 51,6 e 66,22

E’ la visione di un tempo di rinnovamento e di novità totale che si annuncia al futuro per concludere questo mondo di sofferenza e di male. Non a caso, nell’Apocalisse di Giovanni (Ap 21,1), ci si richiama allo splendido profilo di Gerusalemme “come la sposa adorna per il suo sposo nel cielo nuovo e terra nuova”. Ma il testo è anche fatto proprio da Pietro (2 Pt 3,13), e da Paolo (Rom 8,19-23). I “cieli nuovi e terra nuova” sono la svolta radicale nella storia. Il futuro si apre nella speranza: il Signore non farà mancare le sue promesse e manterrà il benessere. È molto interessante anche l’esemplificazione che segue al testo di oggi: cesserà la mortalità infantile (Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni” (v 20)) e gli anziani raggiungeranno e supereranno i 100 anni di vita, ottenendo così la pienezza dell’esistenza. Leggiamo questi testi ed abbiamo davanti agli occhi il dramma degli israeliani e dei palestinesi, i messaggi di odio e di morte, l’incapacità a fermarsi per ritrovare una pace che sia rispettosa del diritto alla vita e alla serenità di ciascuno.

Efesini 5, 6-14

Per i semiti che hanno assimilato molti elementi delle concezioni persiane, l’oriente da cui sorge il sole è il simbolo di Dio, poi, per i cristiani è il simbolo di Cristo Messia mentre l’occidente richiama il maligno, il luogo della fitta oscurità. Per questo le chiese-edificio sono orientate verso il sorgere del sole, ad oriente. Il mondo ebraico, sensibile alle contrapposizioni, ripensa spesso alle albe nell’orizzonte di Gerusalemme. Il sole, che sorge ad oriente, fa fuggire le tenebre verso occidente. Ed i cristiani, che sono figli della luce, sfuggono ogni ambiguità, il male, la malignità che vengono svelati mentre si sviluppano “bontà, giustizia e verità” (v 9). “Eravate tenebre, ora siete luce del Signore”. Siete luce, dice, e non solo “siete nella luce”. Perciò, come logica conseguenza, “camminate come figli della luce”. Perciò dai cristiani ci si deve attendere opere di luce e di bellezza, opere degne di figli di Dio che rendono il mondo più bello e più vivibile.

Generati dalla luce, immagine di Dio luce, figli di Dio e figli della luce, noi viviamo il tempo dell’incontro, della familiarità intima di Dio.

Con la luce cresce il frutto (v.9) e con le tenebre sorgono le opere infruttuose (v.11). Il fatto di essere luce e nella luce non ci si pone, però, automaticamente nel buono, giusto e vero.

La luce richiama la trasparenza e la visibilità, le tenebre richiamano vergogna e fatti innominabili, avvenuti nel segreto, probabilmente conosciuti dai destinatari di questa pagina di cui, però, si vuole mantenere il riserbo.

Ma il battesimo deve aiutarci ad interpretare la realtà: “Cercate di capire ciò che è gradito al Signore” (v.10) dove la luce di Cristo è filtrata nel nostro tessuto quotidiano. Non è semplice ma dobbiamo sviluppare un criterio di valutazione e comportamenti secondo lo stile del Signore Gesù, nel confronto con Lui, il cui legame è grazia, garanzia e speranza: tutti doni che ci sono stati offerti nel Battesimo. E se ciascuno è incoraggiato a riflettere ed a scoprire valori e significati e scelte particolari, si richiede anche una confronto nella fraternità, incoraggiati da altre esperienze e competenze più pensate e più mature. I cristiani vengono incoraggiati, nella lettura della luce, ad esprimere con chiarezza il valore morale di ciò che è bene e ciò che è male. Non si deve aver paura di dichiarare il proprio giudizio sulle cose (certo, non sulle persone). Il nostro tempo ha un grande bisogno di confronti poiché non sopporta regole mentre continuamente ne costruisce all’infinito, giocando spesso, non sempre, per fortuna, su interessi privati, sensibilità individuali, gusti particolari e capricci. Essere luce significa anche capire il senso delle cose, maturarle e saper esprimere con intelligenza e rispetto i significati ed i perché dei fatti e delle scelte. Bisogna sempre essere memori del richiamo di Pietro: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pietro 3,15-16). E insieme bisogna ricordare il richiamo di Paolo: “Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente”. (Ef 5,11-13).

Luca 9, 7-11

Gesù sta sviluppando, nel capitolo 8, il suo progetto di novità e di speranza nonostante i segni e i richiami di morte che attorno a lui si sviluppano. L’emorroissa che, disperata, non ha più fiducia dei medici e perdendo sangue perde la vita, è risanata poiché vuole a tutti i costi toccare il mantello di Gesù e, superando timori e folla, lo raggiunge. E la figlia di Giairo, capo della sinagoga, molto malata e che di fatto muore mentre Gesù si è incamminato verso la sua casa, viene restituita ai genitori viva e gioiosa. Due donne, due persone segnate dalla morte e per tutte c’è il numero 12 che le rende simbolo (12 anni di malattia per l’emorroissa e 12 anni l’età della ragazza che muore). Ci richiamano che Gesù è colui che porta la vita al popolo d’Israele, alla Sposa di Dio identificata dal numero 12, il numero del popolo, le tribù d’Israele. Gesù è la vita piena (Lc 8, 40-56). Gesù sente che il suo popolo ha bisogno della vita in pienezza e perciò “Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (Lc 9,1-2). Tutta questa è una tempesta di notizie affascinanti e drammatiche per Erode: “Sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare” (v 7). Erode non sta cercando di capire la novità di Gesù, ma è determinato ad evitare ogni cambiamento. Ha ucciso un profeta, non se ne pente, non accetta le ipotesi stravaganti di persone superstiziose, ma cerca di vedere Gesù poiché lo sente nella linea del profeta pericoloso. Luca sta preparando un altro incontro, quello definitivo, nel tempo della passione (Lc 23,6-12) e anticipa, nel frattempo, una notizia di trame, sempre da parte di Erode, che lo vuole uccidere (Lc13,31).

Tutto questo prepara la domanda: “Erode vuole vedere Gesù. Ma perché?”

Gesù bisogna cercarlo, stando tra la folla che ha bisogno di trovare significati e speranza, lo si incontra mettendo al primo posto la sua ricerca, come farà la gente che lo segue per luoghi scomodi, senza garanzia, chiedendo la sua parola. Gesù non si svela a chi domanda gesti miracolosi, da circo equestre come chiederà Erode per divertimento: “Sperava di vedere qualche miracolo fatto da Lui” (Lc 23,8). Erode trova un terribile silenzio. Invece la folla, che ha seguito Gesù, è accolta, aiutata a scoprire lo splendore del Regno e curata dai mali che la tengono prigioniera nella sofferenza. A coloro che sono poveri e aspettano speranza Gesù svela lo splendore della sua presenza. Erode non sa far altro che insultarlo: “Farsi beffe di lui e mettergli addosso una splendida veste” (Lc 23,11), il segno della ricchezza stolta che vuol coprire il male nel fasto.

Quando la gente ha cercato Gesù e si è fermata a capire, senza altre preoccupazioni, neppure di fame, Gesù fa quel miracolo che avrebbe ingolosito anche Erode: con 5 pani e due pesci sfama 5000 persone, ma con un gesto assurdo. Non moltiplica i pani ma continua a spezzarli. Erode avrebbe preteso un rapporto di moltiplicazione, sacchi e tonnellate di pane, un miracolo di economia, come, in fondo, pensiamo noi, parlando di moltiplicazione dei pani. Tuttavia, nel testo del Vangelo, non si parla di moltiplicazione dei pani, ma solo nei titoli che non sono Vangelo ma solo annotazioni del tipografo. Gesù invece sceglie la solidarietà, il coinvolgimento nello spezzare il pane e nell’offrire. Cose che Erode non avrebbe saputo né capire né accettare. (Luca 9,12- 17). Eppure “tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: 12 ceste”.

Tratto da Qumran2.net