20/05/2018

DOMENICA DI PENTECOSTE-

Commento su : At 2,1-11;1Cor 12,1-11;Gv 14,15-20

don Raffaello Ciccone

Atti degli Apostoli. 2, 1-11

Luca, che vuole richiamare il cammino nel tempo della Comunità di Gesù, ritorna ai suoi inizi per scoprire come è iniziato e quindi come è continuato negli anni successivi.

Gli Atti degli Apostoli iniziano con i brevi incontri di Gesù risorto, l’Ascensione e quindi con il tempo dell’attesa che Gesù ha prospettato loro. “Lo Spirito Santo verrà su di voi e mi sarete testimoni” (At 1,8).

Non vengono date da Gesù né scadenze, né appuntamenti di calendario: questa sua comunità deve saper vivere nella storia, cogliendo significati e rimanendo a sua disposizione del Signore, pur nella sua piena libertà ed autonomia. Di fatto, a 50 giorni dalla Pasqua, avviene un avvenimento che cambia completamente la loro esistenza. Si sta svolgendo una festa ebraica: la Pentecoste o “Festa delle settimane” che celebra la conclusione della mietitura e della trebbiatura del grano. E’ quindi una festa di ringraziamento in cui vengono portati, come primizie al Signore, due pani lievitati. La stessa festa è carica anche di un significato teologico: si celebra il cambiamento del proprio destino di popolo di Dio, avvenuto con la consegna della legge a Mosè sul Sinai, e quindi con il patto dell’Alleanza, tre mesi dopo l’uscita dall’Egitto. E se la Pasqua rappresenta l’ora del fidanzamento di Dio con il suo popolo, liberato dall’Egitto, la Pentecoste ricorda e rinnova le nozze, nella scelta reciproca e nel patto. E se con la “festa delle settimane ” si compie il grande impegno e il patto del popolo d’Israele, nello sfondo si rinnovano le altre grandi e antiche alleanze: quella Noè e quella di Abramo. Con la Pentecoste cristiana si celebra la nuova Alleanza nel dono dello Spirito. “Si sta compiendo il giorno della Pentecoste” e Gesù manda lo Spirito, quale frutto della sua morte e della sua risurrezione.

– Lo Spirito Santo non seleziona le persone, ma “riempie” e scende su “tutti”. Non è chiaro se solo sui 12 (1,13-14) o sulle 120 persone (1,15), ormai già presenti nel Cenacolo. Il dono è per tutti ed è sovrabbondante, premessa della universalità a cui fa riferimento Pietro quando parla alla gente.

– I segni sono: un fragore, il vento e il fuoco. Il fragore richiama il suono della tromba sempre più assordante sul Sinai; il vento sconvolge le regole, le ideologie, le trame e fa pulizia; il fuoco ha un significato vastissimo: trasforma i discepoli perché diventino testimoni, e li arricchisce con l’amore e la passione per ciò che accolgono perché lo sappiano esprimere in pienezza. Essi debbono portare nel mondo la passione e la forza e il mondo deve trasformarsi ancora nel luogo splendido e benedetto, creato da Dio. Gesù stesso aveva ricordato un suo desiderio, richiamando il fuoco: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49).

– Lo Spirito scende sugli Ebrei credenti. I destinatari primi sono gli Ebrei che vengono da tutto il mondo conosciuto per la festa. Non è ancora la “Pentecoste dei pagani” (Atti 10, 44-48) ma l’elenco delle nazioni enumera l’ampiezza geografica dei popoli.

– Parlare in lingue significa assumere un linguaggio diverso (la lingua degli altri) e quindi portare nel cuore di ciascuno il messaggio nuovo, eppure familiare e comprensibile di salvezza. Dio non parla in formule e per enigmi, ma vuole instaurare un dialogo dove la sua ricchezza venga comunicata ad ogni persona. Così ciascuno sente di essere accolto e amato dal Signore.

Inizia così il dialogo della comunicazione della Parola di Dio sul mondo.

Ci sono 15 nomi localizzabili, più due che introducono una distinzione qualitativa: “ebrei e proseliti”.

Ricordano gli ebrei e i pagani, attratti dalla forza della più stretta fede nel Dio unico. I prosèliti sono coloro che, pur non essendo Giudei di origine, hanno abbracciato la religione ebraica ed hanno accettato la circoncisione.

– Meraviglia e sbigottimento (ripetuti 3 volte) richiamano il superamento dell’incomprensione esistente tra popolo e popolo, tra lingua e lingua. Iniziata con la torre Babele (Gen 11,1-9), la divisione tra popoli portò al sorgere delle diverse culture, ma innescò nel mondo l’ossessione della violenza.

– I cristiani dovrebbero potere avere uno strumento prezioso di pace attraverso il dialogo e la parola di Dio. Con la Pentecoste si inverte il cammino della storia: i popoli ritrovano il senso di una unità.

L’esperienza dell’unità europea può essere preziosa scelta del nostro tempo per intravedere un itinerario nuovo di convivenza.

1 Corinzi. 12, 1-11

La comunità cristiana aveva scoperto di aver ricevuto dallo Spirito doti e risorse importanti nel suo interno per il sostegno e le esigenze dei fratelli e sorelle credenti. E se questo dimostrava, con chiarezza particolare, aiuti, offrendo sostegni reciproci, creava spesso difficoltà e disagi perché i dono ricevuti costituivano, come un patrimonio privato da rivendicare per sé e come una proprietà privata, un privilegio di cui sentirsi valorizzati. In questo modo sorgevano tensioni nella comunità cristiana, gelosie, invidie, gruppi di potere. Si pretendeva di mettere in gerarchia ciò che si possedeva, valutando il più e il meno, compromettendo i rapporti di fraternità e creando insieme sconcerto e diffidenza Paolo si preoccupava delle tensioni della comunità di Corinto che pure si manifestava come una vivacissima comunità di credenti. Perciò, in questa lettera, affrontò il tema degli “carismi” poiché regnava una notevole confusione a causa dei molti “doni” che i cristiani manifestavano nella loro vita privata e nella comunità. Così, nei tre successivi capitoli, Paolo sviluppò:

– I carismi sono dati per il bene della comunità: perciò non devono dare occasione a rivalità (c 12).

– La carità li sorpassa tutti (c 13).

– La loro gerarchia si stabilisce in base al contributo che portano all’edificazione della comunità (c 14).

San Paolo si fermò molto su questi temi. Scrisse che l’origine è lo Spirito Santo e la finalità è “l’utilità comune” (v 7). Si volle leggere un progetto e ci si rese conto di aver bisogno di una coscienza particolarmente lucida e umile in tutti nella Chiesa. E se tutti avevano qualche cosa di nuovo e di bello da portare, “a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (v 7).

Questa frase dovrebbe essere fondamentale della Chiesa anche oggi: è la scoperta e la valorizzazione delle ricchezze esistenti in una comunità; ed insieme diventa esigente di una analisi dei bisogni e delle difficoltà, soprattutto dei più poveri.

Paolo tuttavia si preoccupava del linguaggio che doveva circolare nella Chiesa per la verifica della propria professione di fede. Non doveva essere dimenticato che il centro di tutto questo cammino era la fede in Gesù: “Gesù è il Signore”. Solo il riconoscimento di Gesù come Dio manifesta il dono dello Spirito e rende plausibile l’esercizio di questi carismi. C’è l’elenco che tuttavia diventa difficile cogliere nelle sue caratteristiche (vedi Rom 12,6-8; Ef 4,11). Il linguaggio di sapienza e di conoscenza riguarda l’attitudine e la capacità di penetrare e comunicare l’esperienza cristiana. La fede è la ferma fiducia nell’azione di Dio che compie prodigi (vedi 13,2). I miracoli e le guarigioni distinguono la comunità cristiana per l’attenzione ai malati e per la confidenza del credente nella bontà di Dio. La profezia costituisce il contenuto del cap. 14: è la capacità di convertire, esortare, persuadere con il dono della Parola alla costruzione della comunità. Si parla poi del discernimento che aiuta ad operare un giudizio critico per aiutare le persone a scegliere; e quindi si conclude con la glossolalia (il parlare in lingue incomprensibili: S. Paolo non stima molto questo dono (14,6-11) e della interpretazione delle lingue.

Tutto aiuta a costruire, ma bisogna arrivare al carisma più alto che arricchisce ogni realtà in armonia: esso è la carità (12,31).

Giovanni. 14, 15-20

Gesù si preoccupa di aprire un futuro alla sua Chiesa. Finora l’ha custodita, ne è stato il Paràclito (1Gv 2,1), ma ora è necessario che ci sia un “altro Paràclito”. La tradizione ebraica conosceva un personaggio chiamato “Paràclito” (difensore) che aveva la funzione di sedersi accanto agli accusati in tribunale per aiutare a chiarire, ridimensionare, o addirittura cancellare le accuse di chi era citato in giudizio. Gesù si preoccupa di rassicurare i discepoli perché finora è stato Lui il “difensore-consolatore” (nel linguaggio corrente significa: “aiuto, consigliere, difensore, avvocato, protettore, intercessore”). Ma dopo la sua morte, dice Gesù, ci sarà un “altro Consolatore” che abiterà stabilmente in loro. Si assumerà lo stesso suo compito, sarà una persona viva, distinta da Gesù. Sarà mandato dal Padre (14,16) ed anche da Gesù (16,7).

Importante è che si ubbidisca ai comandamenti di Gesù che poi corrispondono ad amare i propri fratelli e sorelle e ad accogliere la volontà del Padre come Gesù ha fatto. Lo Spirito dimorerà per sempre presso i discepoli (14,15-17).

Se si vuole fare sintesi dell’impegno dello Spirito nella Chiesa di Gesù, bisogna essere attenti al compito che si assume presso noi. E’ fondamentalmente custode del tempo prima ancora che dello spazio. Egli aiuterà, certo, a camminare verso le nazioni ( lo spazio), sostenendole nella scoperta di Gesù. Ma fondamentalmente sarà il Signore del tempo poiché in ogni vita, in ogni stagione, in ogni secolo bisogna riprendere da capo la testimonianza, aprendo gli scrigni della sapienza di Gesù.

Lo Spirito testimonierà Gesù stesso (15,26-27;1Gv 5,6-7) e garantirà che la sua missione viene veramente da Dio e che il mondo, ingannato dal suo Principe, il «padre della menzogna» (8,44), ha avuto torto nel non credere in lui (16,7-11).

“Perciò fidatevi di me poiché non vi abbandonerò” dice Gesù quando garantisce: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18). Ci sarà la presenza di Gesù oltre quella dello Spirito. Il ritorno non è tanto o solo nella risurrezione ma, in questo contesto, è un ritorno ad una presenza interiore e mistica nella Chiesa dopo la risurrezione: una presenza puramente spirituale di Cristo-Sapienza (v 21) in compagnia del Padre (v 23).

Poiché i suoi discepoli vivranno nel mondo, si renderanno conto che questo mondo è dominato dal Principe di questo mondo (14,30). Questo mondo non saprà riconoscere Gesù se non come un ricordo storico, lontano nel tempo, e rifiuterà la sua presenza viva nell’oggi; anzi combatterà la verità di Gesù consegnata alla Chiesa. Ma per i suoi Gesù continua ad essere presente e lo Spirito aiuterà a mantenere la verità “E’ lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce.

Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi” ( 14,17).

Lo Spirito custodisce la parola di Gesù pronunciata nel passato. Come ha testimoniato Gesù, garantisce anche la sua Parola per ricordare e completare l’insegnamento di Cristo (14,25-26) “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Il Passato diventa prezioso scrigno di sapienza.

Lo Spirito continua a sorreggere il popolo di Gesù nel suo cammino futuro. Così conduce i discepoli in cammini di verità (8,32), spiegando loro il senso degli avvenimenti futuri. Li aiuta a camminare nel tempo e ad affrontare l’ignoto che avrà bisogno di Gesù, impegnandosi nelle scelte degne della saggezza di Dio: ” (16,12-15) Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. Il futuro maturerà via via come speranza di un mondo di pace.

Tratto da Qumran2.net