COMMENTO ALLE LETTURE DOMENICALI – II di PASQUA – Domenica della Divina Misericordia in Albis depositis
08/04/2018
COMMENTO ALLE LETTURE DOMENICALI – II di PASQUA – Domenica della Divina Misericordia
in Albis depositis
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VANGELO : P. ALBERTO MAGGI osm – dal sito “Centro studibiblici”
PRIMA e SECONDA LETTURA : don RAFFAELLO CICCONE da “qumran”
SALMO : tratto da “I SALMI” D.M. TUROLDO e G. RAVASI
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Commento al vangelo di P. Alberto Maggi osm
Gv 20,19-31-
Quando leggiamo il vangelo, per comprendere quello che l’evangelista ci vuol trasmettere, dobbiamo sempre prendere le distanze dalle tradizioni e soprattutto dalle immagini pittoriche, con le quali gli artisti hanno inteso tramandare quest’episodio. È il caso di Tommaso, che viene presentato normalmente, nella storia, come l’incredulo, come colui che mette il dito nelle piaghe del Signore, nelle mani, e soprattutto nel costato come, per esempio, nel bellissimo quadro del Caravaggio, ma dal vangelo nulla di tutto questo, vediamo.
Scrive l’evangelista che “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo”, Dìdimo significa “gemello”. Delle quattro volte, dei quattro momenti che appare Tommaso in questo vangelo, per ben tre, e il numero tre significa “completo”, viene presentato come il gemello, il gemello di chi? È il gemello di Gesù, perché gli assomiglia nel comportamento. In apocrifi si legge che “Tommaso è chiamato il mio idoneo secondo”, ma perché è considerato il gemello di Gesù?
Quando Gesù ha annunziato ai discepoli che voleva andare in Giudea, perché Lazzaro, il suo amico, era morto, tutti i discepoli avevano paura, hanno detto a Gesù: ma vai in Giudea, cercavano di ammazzarti. Tommaso è stato l’unico che ha detto: andiamo anche noi a morire con lui. Mentre Pietro voleva morire per Gesù, e finirà poi per tradirlo, Tommaso no, Tommaso ha compreso che non c’è da dare la vita per Gesù, ma, con lui, bisogna dare la vita per gli altri. Per questo Tommaso viene presentato come il gemello, cioè colui che assomiglia di più a Gesù, e la sua importanza risalta in questo vangelo, perché, per ben sette volte, apparirà il nome suo.
Quindi “chiamato Dìdimo, non era con loro”, perché non era con loro? Abbiamo letto, in questo brano, che i discepoli erano a porte chiuse, per paura di fare la stessa fine di Gesù. Ebbene Tommaso, che è il gemello di Gesù, lui non ha paura, non ha paura di morire come il suo maestro. “Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi”, è solo da Giovanni che sappiamo che, per Gesù, sono stati usati i chiodi per crocifiggerlo, “e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo»”, letteralmente “io non crederò”. Questa affermazione di Tommaso non va interpretata come una negazione assoluta della risurrezione di Gesù, ma è il desiderio di credere, è un po’ (come) quando noi, nell’italiano, quando ci annunciano una notizia bella, straordinaria, impensata, cosa diciamo noi? “no, non ci posso credere!”, non è che non ci vogliamo credere, ci sembra talmente grande, oppure quando diciamo: “non è possibile, non è vero!”, non è che neghiamo il fatto, è che è troppo bello che ci sembra impossibile. Quindi qui Tommaso non nega la possibilità, ma esprime il suo desiderio ardente di poterla sperimentare. “Otto giorni dopo”, è importante questa indicazione: l’ottavo giorno è il giorno della resurrezione di Gesù, e la comunità dei credenti ha imparato a riunirsi per la celebrazione eucaristica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne”, meglio, letteralmente “viene” “Gesù”, il verbo al presente indica che, ogni volta che la comunità si riunisce, si manifesta la presenza di Gesù, “a porte chiuse, stette in mezzo”, è importante questa indicazione che l’evangelista già ha presentato, che Gesù, tutte le volte che si manifesta ai suoi, si colloca al mezzo. Gesù non si mette al di sopra, non si mette come primo, ma al centro. Cosa significa questo? Significa che tutte le altre persone attorno a lui, hanno la stessa relazione, non c’è qualcuno più vicino a Gesù e qualcuno più distante, qualcuno prima e altri dopo, ma Gesù è al centro in mezzo, e tutti gli altri attorno. “e disse”, e, per la terza volta, Gesù pronuncia “«Pace a voi!»”, non è un augurio, Gesù non dice: “la pace sia con voi”, ma è un dono. Gesù, quando si manifesta, dona sempre questa pace, cioè la pienezza della felicità, e, con essa, il dono dello Spirito, che è capace di prolungare, attraverso gli apostoli, il dono d’amore del Padre all’umanità. “Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!»”, ebbene di fronte a questo invito di Gesù, Tommaso si guarda bene di mettere il dito nelle piaghe del Signore, al contrario, “Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!»”, è la più alta professione di fede di tutti i vangeli, quindi altro che incredulo, Tommaso è il credente perfetto. Giovanni aveva presentato Gesù come colui che era la rivelazione di Dio, e Gesù, a Filippo, aveva detto: “chi ha visto me, ha visto il Padre”, e, sempre Gesù, aveva detto: “quando avrete levato il figlio dell’uomo, allora saprete che io sono”, il nome divino, ebbene Tommaso è il primo tra i discepoli a riconoscere in Gesù la pienezza della divinità, la pienezza della condizione divina, “«Mio Signore e mio Dio!»”. “Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati”, ci sono due beatitudini nel vangelo di Giovanni, strettamente legate con(tra) loro: una, quella nella cena, dopo il servizio che Gesù ha fatto della lavanda dei piedi, quando Gesù dice: “beati se le metterete in pratica”, cioè se (c’è) questo atteggiamento di servizio, e l’altra è questa che è strettamente collegata: l’atteggiamento di servizio permette di sperimentare il Cristo risorto nella propria vita, “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»”. Quelli che, nel tempo, si susseguiranno, non sono svantaggiati, ma anzi sono beati, hanno una fortuna in più. Quel messaggio che ci dà l’evangelista è che non c’è bisogno di vedere per poter credere, ma credere, dare adesione a Gesù, e si diventa un segno che gli altri possono vedere.
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RAFFAELLO CICCONE – Atti degli Apostoli. 4, 8-24°
Gli Atti degli Apostoli raccontano di Pietro e Giovanni che, in un giorno feriale, salgono al Tempio di Gerusalemme a pregare. Incontrando uno storpio, malato fin dalla nascita, accompagnato ogni giorno presso la porta “Bella” del tempio per chiedere l’elemosina, i due apostoli si scusano di non poter offrire soldi, ma comandano: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina” (Atti 3,1-10). Poi continuano la propria presenza nel tempio, semplicemente, mentre lo storpio guarito urla a tutti la propria guarigione. Tutti vengono bloccati e ai discepoli di Gesù che non si nascondono, ma che si comportano con naturalezza, si chiede loro conto di quello che dicono e fanno: “Con quale potere e in nome di chi avete fatto tutto questo”. Pietro, “pieno di Spirito Santo”, mentre difende la guarigione dello storpio alla porta “Bella” del tempio, “ai capi del popolo e agli anziani”, suscitando stupore e meraviglia, chiarisce che la guarigione è stata fatta “nel nome di Gesù Cristo il Nazareno”.
La morte di Gesù era rimasta come un tragico ed enigmatico avvenimento che si preferiva dimenticare negli ambienti religiosi e politici, per le implicanze di ingiustizie, risentimenti e rancori. I discepoli, invece, con la loro libertà e franchezza, sconcertano e impauriscono allo stesso tempo. Pietro, comunque, non teme di parlare di Gesù, riportando le conclusioni che loro stessi, alla luce dei fatti avvenuti dopo la risurrezione, stanno decifrando e maturando. Gesù è la vera, unica possibile speranza del mondo. Questo Gesù, “che voi avete crocifisso e Dio lo ha risuscitato dai morti,” interessa tutti e offre un modo nuovo di interpretare, di seguire, di prevedere, di impostare la propria vita. Ci si deve porre nella scelta della fedeltà a Lui. Il solo suo nome provoca cambiamenti poderosi e nel suo nome viene addirittura annunziata la vittoria sulla morte e il perdono di ogni male.
Pietro e Giovanni sono le uniche persone serene nel trambusto e nella tensione generale. La consapevolezza di una verità che coinvolge la vita non può essere nascosta, pur con tutto il rispetto e la discrezione del caso. Se poi chiede il senso, non si può però mentire. Questo è il senso che Pietro vuole dare al suo comportamento, che è anche una linea morale coerente.
Agli occhi di questi sacerdoti dotti e competenti, astuti e navigati le argomentazioni appaiono strabilianti, poiché vengono da persone ignoranti e rozze, lavoratori di un popolo non acculturato, senza legge e disprezzabile. Eppure Pietro e Giovanni presentano le prove dello storpio guarito e propongono una nuova e sconvolgente interpretazione di Gesù, pur considerato malfattore e bestemmiatore e per questo giustiziato. Gesù, inviato e segno del Padre, – essi affermano- è fondamento dell’esistenza e della salvezza del mondo. Essi poi richiamano proprio ai capi come la Scrittura afferma che la pietra scartata diventa pietra fondante.
Essi hanno “scartato” Gesù come pietra inutile” e, invece, è Gesù la pietra angolare (Sal 118,22). Ma questo rivoluziona e scardina tutto il loro sapere, le loro scelte, la loro religiosità. E’ il crollo della loro vita poiché più che la morte di Gesù (che corrisponde al”non sanno quello che fanno”) è la verifica di un cammino che si apre davanti a loro che li disorienta. Li obbliga a pensare prima ancora di scegliere, ma di scegliere dopo avere verificato.
Un comportamento prudenziale porta ad imporre il silenzio, ma il silenzio è altrettanto contradditorio della menzogna. «Se sia giusto, dinanzi a Dio, obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (vv. 19-20).
Questa “obiezione di coscienza” rivoluziona il cammino della storia, poiché obbliga a raggiungere, attraverso una testimonianza fedele, ciò che è più alto e più nobile, a costo di un proprio sacrificio, e induce ad un processo di maturazione e ad un progresso di civiltà e di valori.
La conclusione conduce alla gioia di aver scoperto che il Signore è capace, anche attraverso le deboli forze di seguaci impauriti ed ignoranti, di cambiare la malattia in liberazione e di portare speranze nuove ed orizzonti aperti per tutti.
Quando i discepoli tornano, si fanno portavoce dei sommi sacerdoti e dei capi. In fondo si preoccupano di motivare le scelte e l’impostazione di libertà e, per onestà, avvisano sulla pericolosità di essere cristiani. Essi suggeriscono l’impegno a chiarire la propria fede, a rendere responsabile la propria libertà e a chiedere la forza dello Spirito.
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DAVID MARIA TUROLDO – GIANFRANCO RAVASI
Dal libro “I SALMI “ pag 404 – 405
Salmo 117 (118) vv 1-2-22-23- 28-29
Pare di essere di fronte ad una processione, il primo inno di lode risuona presso le” tende dei giusti” , e giunta alle soglie del Tempio chiede ai sacerdoti il permesso di accesso (vv1-4). Una volta entrata, l’assemblea inizia la liturgia di ringraziamento e di lode alla “ pietra” che è la testata d’angolo del mondo : il simbolo è trasparente perché Dio è chiamato spesso nella Bibbia “rupe” e la roccia di Sion è la sede della sua presenza nel Tempio.
Citato a più riprese dal Nuovo Testamento (vedi il vv 22 in Matteo 21,42- ed Atti 4,11 e vv 26 in Matteo 21,9 e 23,39) .
Il salmo ha dato origine anche all’esclamazione “Osanna”. Dall’ebraico hoshi’ah-na. ,“oh,si, salvaci!” del v 25-
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RAFFAELLO CICCONE
Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi. 2, 8-15
Il pericolo sempre presente in una comunità è quello di intravvedere e quindi di sentirsi suggestionati da false dottrine (2,4), allettanti e accattivanti, ragionevoli e, in più, cariche di elementi tradizionali. Spesso la tradizione, o presunta tale, diventa qualità fondamentale per misurare e giudicare il nuovo.
E tuttavia queste dottrine vogliono inquinare la fede su Gesù, non accettandolo più al centro della fede. Paolo invece propone il primato di Gesù, fondamento e causa della nuova condizione dei cristiani.
Non viene detto, comunque, in modo chiaro, quali siano questi pericoli. Ma Paolo incoraggia ad essere guardinghi perché c’è il pericolo di “essere fatti schiavi” di falsità. E’ in gioco, infatti, la verità sulla rivelazione di Gesù che viene rimescolata a elementi del mondo e legata ad una tradizione umana.
Già in questa lettera è stato riportato, precedentemente, uno splendido inno (1,15-20) dove Gesù è presentato come “immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura… ed è piaciuto a Dio che abiti in lui (Cristo) tutta la pienezza (1,19)”. pienezza in rapporto alla creazione e in rapporto alla Chiesa.
La chiarificazione sulla pienezza viene specificata in questo secondo capitolo: “In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”.
“In Cristo abita tutta la pienezza di Dio corporalmente”, e quel “corporalmente”, riferito alla vita quotidiana di Gesù, può continuare ad essere riferito al corpo di Cristo glorioso e quindi alla sua Chiesa, per cui ogni cristiano è “riempito di Lui”.
L’immersione in Gesù risorto avviene attraverso il simbolo dell’immersione nell’acqua del battesimo (“Con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio”). Per significare la salvezza che Gesù porta, viene usata l’immagine del “documento scritto e inchiodato alla croce”. Si usava, nel linguaggio e tra gli strumenti del commercio, scrivere un documento in cui si riportavano i debiti. In questo caso si suppone la certificazione e la denuncia dei peccati dell’uomo, oppure, secondo altre interpretazioni, la trascrizione della legge mosaica con tutti i suoi precetti. Il debitore certificava e sottoscriveva, di proprio pugno, il debito contratto, impegnandosi ad onorarlo, altrimenti sottoscriveva la propria condanna.
Quel documento, inchiodato alla croce, annulla il nostro debito, che viene distrutto
dall’amore e dalla morte di Gesù. Così Gesù vince il male anche per noi, e Paolo immagina, secondo l’uso romano, il risorto sul carro del vincitore, con il corteo dei vinti trascinati (in questo caso sono i precetti umani e la venerazione di altre potenze).
I cristiani, finalmente, sanno di poter seguire un solo vincitore che non vince gli uomini, ma vince il male nell’uomo: il Salvatore Gesù, crocifisso e risorto.
COMMENTO ALLE LETTURE DOMENICALI – II di PASQUA – Domenica della Divina Misericordia in Albis depositis
08/04/2018
COMMENTO ALLE LETTURE DOMENICALI – II di PASQUA – Domenica della Divina Misericordia
in Albis depositis
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VANGELO : P. ALBERTO MAGGI osm – dal sito “Centro studi biblici”
PRIMA e SECONDA LETTURA : don RAFFAELLO CICCONE da “qumran”
SALMO : tratto da “I SALMI” D.M. TUROLDO e G. RAVASI
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Commento al vangelo di P. Alberto Maggi osm
Gv 20,19-31-
Quando leggiamo il vangelo, per comprendere quello che l’evangelista ci vuol trasmettere, dobbiamo sempre prendere le distanze dalle tradizioni e soprattutto dalle immagini pittoriche, con le quali gli artisti hanno inteso tramandare quest’episodio. È il caso di Tommaso, che viene presentato normalmente, nella storia, come l’incredulo, come colui che mette il dito nelle piaghe del Signore, nelle mani, e soprattutto nel costato come, per esempio, nel bellissimo quadro del Caravaggio, ma dal vangelo nulla di tutto questo, vediamo.
Scrive l’evangelista che “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo”, Dìdimo significa “gemello”. Delle quattro volte, dei quattro momenti che appare Tommaso in questo vangelo, per ben tre, e il numero tre significa “completo”, viene presentato come il gemello, il gemello di chi? È il gemello di Gesù, perché gli assomiglia nel comportamento. In apocrifi si legge che “Tommaso è chiamato il mio idoneo secondo”, ma perché è considerato il gemello di Gesù?
Quando Gesù ha annunziato ai discepoli che voleva andare in Giudea, perché Lazzaro, il suo amico, era morto, tutti i discepoli avevano paura, hanno detto a Gesù: ma vai in Giudea, cercavano di ammazzarti. Tommaso è stato l’unico che ha detto: andiamo anche noi a morire con lui. Mentre Pietro voleva morire per Gesù, e finirà poi per tradirlo, Tommaso no, Tommaso ha compreso che non c’è da dare la vita per Gesù, ma, con lui, bisogna dare la vita per gli altri. Per questo Tommaso viene presentato come il gemello, cioè colui che assomiglia di più a Gesù, e la sua importanza risalta in questo vangelo, perché, per ben sette volte, apparirà il nome suo.
Quindi “chiamato Dìdimo, non era con loro”, perché non era con loro? Abbiamo letto, in questo brano, che i discepoli erano a porte chiuse, per paura di fare la stessa fine di Gesù. Ebbene Tommaso, che è il gemello di Gesù, lui non ha paura, non ha paura di morire come il suo maestro. “Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi”, è solo da Giovanni che sappiamo che, per Gesù, sono stati usati i chiodi per crocifiggerlo, “e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo»”, letteralmente “io non crederò”. Questa affermazione di Tommaso non va interpretata come una negazione assoluta della risurrezione di Gesù, ma è il desiderio di credere, è un po’ (come) quando noi, nell’italiano, quando ci annunciano una notizia bella, straordinaria, impensata, cosa diciamo noi? “no, non ci posso credere!”, non è che non ci vogliamo credere, ci sembra talmente grande, oppure quando diciamo: “non è possibile, non è vero!”, non è che neghiamo il fatto, è che è troppo bello che ci sembra impossibile. Quindi qui Tommaso non nega la possibilità, ma esprime il suo desiderio ardente di poterla sperimentare. “Otto giorni dopo”, è importante questa indicazione: l’ottavo giorno è il giorno della resurrezione di Gesù, e la comunità dei credenti ha imparato a riunirsi per la celebrazione eucaristica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne”, meglio, letteralmente “viene” “Gesù”, il verbo al presente indica che, ogni volta che la comunità si riunisce, si manifesta la presenza di Gesù, “a porte chiuse, stette in mezzo”, è importante questa indicazione che l’evangelista già ha presentato, che Gesù, tutte le volte che si manifesta ai suoi, si colloca al mezzo. Gesù non si mette al di sopra, non si mette come primo, ma al centro. Cosa significa questo? Significa che tutte le altre persone attorno a lui, hanno la stessa relazione, non c’è qualcuno più vicino a Gesù e qualcuno più distante, qualcuno prima e altri dopo, ma Gesù è al centro in mezzo, e tutti gli altri attorno. “e disse”, e, per la terza volta, Gesù pronuncia “«Pace a voi!»”, non è un augurio, Gesù non dice: “la pace sia con voi”, ma è un dono. Gesù, quando si manifesta, dona sempre questa pace, cioè la pienezza della felicità, e, con essa, il dono dello Spirito, che è capace di prolungare, attraverso gli apostoli, il dono d’amore del Padre all’umanità. “Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!»”, ebbene di fronte a questo invito di Gesù, Tommaso si guarda bene di mettere il dito nelle piaghe del Signore, al contrario, “Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!»”, è la più alta professione di fede di tutti i vangeli, quindi altro che incredulo, Tommaso è il credente perfetto. Giovanni aveva presentato Gesù come colui che era la rivelazione di Dio, e Gesù, a Filippo, aveva detto: “chi ha visto me, ha visto il Padre”, e, sempre Gesù, aveva detto: “quando avrete levato il figlio dell’uomo, allora saprete che io sono”, il nome divino, ebbene Tommaso è il primo tra i discepoli a riconoscere in Gesù la pienezza della divinità, la pienezza della condizione divina, “«Mio Signore e mio Dio!»”. “Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati”, ci sono due beatitudini nel vangelo di Giovanni, strettamente legate con(tra) loro: una, quella nella cena, dopo il servizio che Gesù ha fatto della lavanda dei piedi, quando Gesù dice: “beati se le metterete in pratica”, cioè se (c’è) questo atteggiamento di servizio, e l’altra è questa che è strettamente collegata: l’atteggiamento di servizio permette di sperimentare il Cristo risorto nella propria vita, “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»”. Quelli che, nel tempo, si susseguiranno, non sono svantaggiati, ma anzi sono beati, hanno una fortuna in più. Quel messaggio che ci dà l’evangelista è che non c’è bisogno di vedere per poter credere, ma credere, dare adesione a Gesù, e si diventa un segno che gli altri possono vedere.
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RAFFAELLO CICCONE – Atti degli Apostoli. 4, 8-24°
Gli Atti degli Apostoli raccontano di Pietro e Giovanni che, in un giorno feriale, salgono al Tempio di Gerusalemme a pregare. Incontrando uno storpio, malato fin dalla nascita, accompagnato ogni giorno presso la porta “Bella” del tempio per chiedere l’elemosina, i due apostoli si scusano di non poter offrire soldi, ma comandano: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina” (Atti 3,1-10). Poi continuano la propria presenza nel tempio, semplicemente, mentre lo storpio guarito urla a tutti la propria guarigione. Tutti vengono bloccati e ai discepoli di Gesù che non si nascondono, ma che si comportano con naturalezza, si chiede loro conto di quello che dicono e fanno: “Con quale potere e in nome di chi avete fatto tutto questo”. Pietro, “pieno di Spirito Santo”, mentre difende la guarigione dello storpio alla porta “Bella” del tempio, “ai capi del popolo e agli anziani”, suscitando stupore e meraviglia, chiarisce che la guarigione è stata fatta “nel nome di Gesù Cristo il Nazareno”.
La morte di Gesù era rimasta come un tragico ed enigmatico avvenimento che si preferiva dimenticare negli ambienti religiosi e politici, per le implicanze di ingiustizie, risentimenti e rancori. I discepoli, invece, con la loro libertà e franchezza, sconcertano e impauriscono allo stesso tempo. Pietro, comunque, non teme di parlare di Gesù, riportando le conclusioni che loro stessi, alla luce dei fatti avvenuti dopo la risurrezione, stanno decifrando e maturando. Gesù è la vera, unica possibile speranza del mondo. Questo Gesù, “che voi avete crocifisso e Dio lo ha risuscitato dai morti,” interessa tutti e offre un modo nuovo di interpretare, di seguire, di prevedere, di impostare la propria vita. Ci si deve porre nella scelta della fedeltà a Lui. Il solo suo nome provoca cambiamenti poderosi e nel suo nome viene addirittura annunziata la vittoria sulla morte e il perdono di ogni male.
Pietro e Giovanni sono le uniche persone serene nel trambusto e nella tensione generale. La consapevolezza di una verità che coinvolge la vita non può essere nascosta, pur con tutto il rispetto e la discrezione del caso. Se poi chiede il senso, non si può però mentire. Questo è il senso che Pietro vuole dare al suo comportamento, che è anche una linea morale coerente.
Agli occhi di questi sacerdoti dotti e competenti, astuti e navigati le argomentazioni appaiono strabilianti, poiché vengono da persone ignoranti e rozze, lavoratori di un popolo non acculturato, senza legge e disprezzabile. Eppure Pietro e Giovanni presentano le prove dello storpio guarito e propongono una nuova e sconvolgente interpretazione di Gesù, pur considerato malfattore e bestemmiatore e per questo giustiziato. Gesù, inviato e segno del Padre, – essi affermano- è fondamento dell’esistenza e della salvezza del mondo. Essi poi richiamano proprio ai capi come la Scrittura afferma che la pietra scartata diventa pietra fondante.
Essi hanno “scartato” Gesù come pietra inutile” e, invece, è Gesù la pietra angolare (Sal 118,22). Ma questo rivoluziona e scardina tutto il loro sapere, le loro scelte, la loro religiosità. E’ il crollo della loro vita poiché più che la morte di Gesù (che corrisponde al”non sanno quello che fanno”) è la verifica di un cammino che si apre davanti a loro che li disorienta. Li obbliga a pensare prima ancora di scegliere, ma di scegliere dopo avere verificato.
Un comportamento prudenziale porta ad imporre il silenzio, ma il silenzio è altrettanto contradditorio della menzogna. «Se sia giusto, dinanzi a Dio, obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (vv. 19-20).
Questa “obiezione di coscienza” rivoluziona il cammino della storia, poiché obbliga a raggiungere, attraverso una testimonianza fedele, ciò che è più alto e più nobile, a costo di un proprio sacrificio, e induce ad un processo di maturazione e ad un progresso di civiltà e di valori.
La conclusione conduce alla gioia di aver scoperto che il Signore è capace, anche attraverso le deboli forze di seguaci impauriti ed ignoranti, di cambiare la malattia in liberazione e di portare speranze nuove ed orizzonti aperti per tutti.
Quando i discepoli tornano, si fanno portavoce dei sommi sacerdoti e dei capi. In fondo si preoccupano di motivare le scelte e l’impostazione di libertà e, per onestà, avvisano sulla pericolosità di essere cristiani. Essi suggeriscono l’impegno a chiarire la propria fede, a rendere responsabile la propria libertà e a chiedere la forza dello Spirito.
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DAVID MARIA TUROLDO – GIANFRANCO RAVASI
Dal libro “I SALMI “ pag 404 – 405
Salmo 117 (118) vv 1-2-22-23- 28-29
Pare di essere di fronte ad una processione, il primo inno di lode risuona presso le” tende dei giusti” , e giunta alle soglie del Tempio chiede ai sacerdoti il permesso di accesso (vv1-4). Una volta entrata, l’assemblea inizia la liturgia di ringraziamento e di lode alla “ pietra” che è la testata d’angolo del mondo : il simbolo è trasparente perché Dio è chiamato spesso nella Bibbia “rupe” e la roccia di Sion è la sede della sua presenza nel Tempio.
Citato a più riprese dal Nuovo Testamento (vedi il vv 22 in Matteo 21,42- ed Atti 4,11 e vv 26 in Matteo 21,9 e 23,39) .
Il salmo ha dato origine anche all’esclamazione “Osanna”. Dall’ebraico hoshi’ah-na. ,“oh,si, salvaci!” del v 25-
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RAFFAELLO CICCONE
Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi. 2, 8-15
Il pericolo sempre presente in una comunità è quello di intravvedere e quindi di sentirsi suggestionati da false dottrine (2,4), allettanti e accattivanti, ragionevoli e, in più, cariche di elementi tradizionali. Spesso la tradizione, o presunta tale, diventa qualità fondamentale per misurare e giudicare il nuovo.
E tuttavia queste dottrine vogliono inquinare la fede su Gesù, non accettandolo più al centro della fede. Paolo invece propone il primato di Gesù, fondamento e causa della nuova condizione dei cristiani.
Non viene detto, comunque, in modo chiaro, quali siano questi pericoli. Ma Paolo incoraggia ad essere guardinghi perché c’è il pericolo di “essere fatti schiavi” di falsità. E’ in gioco, infatti, la verità sulla rivelazione di Gesù che viene rimescolata a elementi del mondo e legata ad una tradizione umana.
Già in questa lettera è stato riportato, precedentemente, uno splendido inno (1,15-20) dove Gesù è presentato come “immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura… ed è piaciuto a Dio che abiti in lui (Cristo) tutta la pienezza (1,19)”. pienezza in rapporto alla creazione e in rapporto alla Chiesa.
La chiarificazione sulla pienezza viene specificata in questo secondo capitolo: “In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”.
dall’amore e dalla morte di Gesù. Così Gesù vince il male anche per noi, e Paolo immagina, secondo l’uso romano, il risorto sul carro del vincitore, con il corteo dei vinti trascinati (in questo caso sono i precetti umani e la venerazione di altre potenze).