III DOMENICA DI AVVENTO – Anno C – Rito Ambrosiano
Commento al Vangelo di don Paolo Scquizzato
Responsabile Centro di spiritualità MATER UNITATIS –Druento (To)
Lc 7,18-23
18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose.
Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Lc 7,18-23).
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Giovanni Battista è in preda al dubbio. Tempo prima, preannunciando la venuta del Messia, diceva: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Lc 3,9). Il tono del suo annuncio proveniva dall’Antico Testamento, perciò non poteva essere sbagliato. Ma ora, «informato dai suoi discepoli di tutte queste cose», i conti non gli tornano. Gesù non allontana né minaccia i peccatori, anzi li accoglie al suo seguito; non evita i pagani, ma li aiuta; non fugge dagli impuri, ma li purifica; non allontana le donne, ma le guarisce e le chiama a seguirlo: che non sia quel Messia atteso da sempre? D’altra parte, a quel tempo la comparsa di sedicenti messia era abbastanza frequente, e Giovanni stesso era stato scambiato per il Messia.
Se Gesù si fosse manifestato secondo le attese, le cose sarebbero andate lisce per tutti: «Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminarne i peccatori» (Is 13,9). Un Dio troppo buono, un Dio che salva tutti, che recupera tutto, è un problema, anche per Giovanni. Gesù lo aveva intuito, e anche per questo aveva raccontato la splendida parabola degli operai dell’ultima ora, che lavorano poco e ricevono la stessa paga di quelli che sono usciti a lavorare all’alba (cfr. Mt 20,1-16). Gli operai della prima ora protestano con il padrone della vigna: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Gli rimproverano un’apparente ingiustizia. Ma Dio (il padrone) è giusto. Infatti dice: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».
Se leggiamo attentamente, ci rendiamo conto che per gli operai della prima ora non è una questione di denaro. A loro interessa il fatto che gli altri sono stati trattati allo stesso modo, cioè come uguali.
Noi non sopportiamo che Dio ci tratti tutti ugualmente: vogliamo essere differenti, perché siamo più buoni, siamo quelli che hanno lavorato tanto per il regno, noi siamo di chiesa. Gli altri invece…
Dovremmo purificare un po’ l’idea di giustizia che ci portiamo dentro.
Nel Vangelo viene scardinata la nozione di giustizia retributiva ampiamente affermata invece nell’Antico Testamento. Dio (e quindi Cristo) è giusto ma solo nell’amore. «L’introduzione, nel rapporto con il Signore, dei criteri della giustizia retributiva, della contabilità, dei premi e dei castighi, delle lusinghe e delle minacce, della registrazione dei meriti e delle trasgressioni, è una deformazione diabolica della fede […]. Dio premia secondo i meriti: è l’epitaffio sulla tomba dell’amore» (Fernando Armellini).
Dio è giusto solo in quanto adempie gratuitamente, senza la necessità di meriti, le promesse di vita e di salvezza. Dio è giusto solo perché giustifica, ossia rende giusti gli ingiusti, e il giusto non è più tale perché fa cose giuste, ma come risposta alla grazia di Dio, ossia perché è giustificato. «Giustizia è fatta quando il malvagio diventa giusto», scrive ancora Fernando Armellini.
Belle queste parole del pastore protestante Paolo Ricca: «La giustizia di Dio non è quella che Dio esige, ma quella che Dio mi dà; non è la giustizia “attiva” del mio agire, ma quella “passiva” di cui Dio mi riveste. La giustizia di Dio è quella che, invece di inchiodarmi nella colpa, mi regala la giustizia. In una parola: la giustizia di Dio è la grazia. Fare giustizia, per Dio, significa fare grazia».
Ma torniamo al testo. I discepoli di Giovanni porgono perciò a Gesù la domanda per cui sono stati mandati. Gesù, come fa spesso, non risponde in maniera diretta, ma con le opere: guarisce molti infermi e indemoniati, ridona la vista ai ciechi, fa il bene. Diventa responsabile, si prende cura. Alla domanda: «Sei tu colui che deve venire?», Gesù risponde con l’evidenza delle azioni del Messia annunziate da Isaia; non però, in questo caso, del Messia che sconquassa la terra sterminando gli ingiusti.
Dentro l’Antico Testamento convivono infatti concezioni differenti; lo stesso libro del profeta Isaia – in cui si trova la descrizione drammatica dell’avvento del Messia che abbiamo ricordato sopra – è formato, secondo gli esegeti, da tre sezioni di autori diversi (Isaia, Deuteroisaia e Tritoisaia), che sono state unificate nel corso del consolidamento dei testi sacri. Perciò in Isaia troviamo anche questa descrizione della venuta del Messia: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa» (Is 35,5-6).
Sono proprio le azioni che Gesù compie di fronte ai discepoli di Giovanni. E anche in questo caso, come già ricordavamo in un precedente capitolo, Gesù citando Isaia trascura quei passi in cui non c’è consonanza con la sua missione. Infatti qui tace il versetto che precede quelli appena ricordati: «Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi» (Is 35,4).
Tratto dal libro “Padre nostro che sei all’inferno” cap. IV
COMMENTO AL VANGELO – III DOMENICA DI AVVENTO
02/12/2018
III DOMENICA DI AVVENTO – Anno C – Rito Ambrosiano
Commento al Vangelo di don Paolo Scquizzato
Responsabile Centro di spiritualità MATER UNITATIS –Druento (To)
Lc 7,18-23
18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose.
Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Lc 7,18-23).
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Giovanni Battista è in preda al dubbio. Tempo prima, preannunciando la venuta del Messia, diceva: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Lc 3,9). Il tono del suo annuncio proveniva dall’Antico Testamento, perciò non poteva essere sbagliato. Ma ora, «informato dai suoi discepoli di tutte queste cose», i conti non gli tornano. Gesù non allontana né minaccia i peccatori, anzi li accoglie al suo seguito; non evita i pagani, ma li aiuta; non fugge dagli impuri, ma li purifica; non allontana le donne, ma le guarisce e le chiama a seguirlo: che non sia quel Messia atteso da sempre? D’altra parte, a quel tempo la comparsa di sedicenti messia era abbastanza frequente, e Giovanni stesso era stato scambiato per il Messia.
Se Gesù si fosse manifestato secondo le attese, le cose sarebbero andate lisce per tutti: «Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminarne i peccatori» (Is 13,9). Un Dio troppo buono, un Dio che salva tutti, che recupera tutto, è un problema, anche per Giovanni. Gesù lo aveva intuito, e anche per questo aveva raccontato la splendida parabola degli operai dell’ultima ora, che lavorano poco e ricevono la stessa paga di quelli che sono usciti a lavorare all’alba (cfr. Mt 20,1-16). Gli operai della prima ora protestano con il padrone della vigna: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Gli rimproverano un’apparente ingiustizia. Ma Dio (il padrone) è giusto. Infatti dice: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».
Se leggiamo attentamente, ci rendiamo conto che per gli operai della prima ora non è una questione di denaro. A loro interessa il fatto che gli altri sono stati trattati allo stesso modo, cioè come uguali.
Noi non sopportiamo che Dio ci tratti tutti ugualmente: vogliamo essere differenti, perché siamo più buoni, siamo quelli che hanno lavorato tanto per il regno, noi siamo di chiesa. Gli altri invece…
Dovremmo purificare un po’ l’idea di giustizia che ci portiamo dentro.
Nel Vangelo viene scardinata la nozione di giustizia retributiva ampiamente affermata invece nell’Antico Testamento. Dio (e quindi Cristo) è giusto ma solo nell’amore. «L’introduzione, nel rapporto con il Signore, dei criteri della giustizia retributiva, della contabilità, dei premi e dei castighi, delle lusinghe e delle minacce, della registrazione dei meriti e delle trasgressioni, è una deformazione diabolica della fede […]. Dio premia secondo i meriti: è l’epitaffio sulla tomba dell’amore» (Fernando Armellini).
Dio è giusto solo in quanto adempie gratuitamente, senza la necessità di meriti, le promesse di vita e di salvezza. Dio è giusto solo perché giustifica, ossia rende giusti gli ingiusti, e il giusto non è più tale perché fa cose giuste, ma come risposta alla grazia di Dio, ossia perché è giustificato. «Giustizia è fatta quando il malvagio diventa giusto», scrive ancora Fernando Armellini.
Belle queste parole del pastore protestante Paolo Ricca: «La giustizia di Dio non è quella che Dio esige, ma quella che Dio mi dà; non è la giustizia “attiva” del mio agire, ma quella “passiva” di cui Dio mi riveste. La giustizia di Dio è quella che, invece di inchiodarmi nella colpa, mi regala la giustizia. In una parola: la giustizia di Dio è la grazia. Fare giustizia, per Dio, significa fare grazia».
Ma torniamo al testo. I discepoli di Giovanni porgono perciò a Gesù la domanda per cui sono stati mandati. Gesù, come fa spesso, non risponde in maniera diretta, ma con le opere: guarisce molti infermi e indemoniati, ridona la vista ai ciechi, fa il bene. Diventa responsabile, si prende cura. Alla domanda: «Sei tu colui che deve venire?», Gesù risponde con l’evidenza delle azioni del Messia annunziate da Isaia; non però, in questo caso, del Messia che sconquassa la terra sterminando gli ingiusti.
Dentro l’Antico Testamento convivono infatti concezioni differenti; lo stesso libro del profeta Isaia – in cui si trova la descrizione drammatica dell’avvento del Messia che abbiamo ricordato sopra – è formato, secondo gli esegeti, da tre sezioni di autori diversi (Isaia, Deuteroisaia e Tritoisaia), che sono state unificate nel corso del consolidamento dei testi sacri. Perciò in Isaia troviamo anche questa descrizione della venuta del Messia: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa» (Is 35,5-6).
Sono proprio le azioni che Gesù compie di fronte ai discepoli di Giovanni. E anche in questo caso, come già ricordavamo in un precedente capitolo, Gesù citando Isaia trascura quei passi in cui non c’è consonanza con la sua missione. Infatti qui tace il versetto che precede quelli appena ricordati: «Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi» (Is 35,4).
Tratto dal libro “Padre nostro che sei all’inferno” cap. IV
Di Don Paolo Scquizzato