03/05/2020

IV domenica dopo Pasqua – Anno A – Rito Ambrosiano

Dal commento di don Paolo Scquizzato

Gv 10,11-18

Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde;  perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Ho altre pecore che non provengono da questo recinto” (v.16).

Dio non fa preferenza di persone (cfr. Rm 2, 11). E l’amore non può essere rinchiuso in un recinto. Gli amati non s’identificano con una parte. Dinanzi a Dio non ci sono migliori o peggiori, preferiti o reietti. Nessun ‘popolo eletto’ dunque, con buona pace degli israeliti di ieri e gli israeliani di oggi. Nessuna ‘salvezza’ riservata ai cristiani dentro la Chiesa Cattolica dunque, con buona pace dell’antico adagio: Extra Ecclesiam nulla salus [non c’è salvezza fuori dalla Chiesa].

Gesù è venuto a liberare l’umano da tutti i recinti e da tutte le coercizioni, da tutte le leggi e tutte le proibizioni. Perché Dio è l’Amore che apre a ‘pascoli sconfinati’ l’intera umanità,  aldilà dei recinti di religione, di credo o di appartenenza. Gesù è venuto a spezzare le staccionate che definiscono, separano, distinguono comprese quelle della morale e dell’integrità. È vero, Gesù è la porta, ma proprio per questo nel mondo di Dio le porte son state scardinate tutte.

Dio chiama all’unità, che è l’esatto opposto dell’uniformità. L’amore esalta le differenze, la paura uniforma, frullando tutto in un indistinto, per poi magari chiamarlo ‘virtù’.

L’Amore fa sì che ciascuno venga pienamente alla luce di sé, e attraverso la libertà possa edificarsi nella propria individualità, nella propria differenza cominciando ad amare i fratelli nella rispettiva alterità.

La vera pace accadrà quando le differenze saranno occasioni per vivere nell’amore, quando finalmente Caino accetterà che Abele possa essere diverso da lui, senza il bisogno di eliminarlo per essere fieramente l’unico.

Più Dio s’affermerà nella storia più si avrà l’esaltazione della diversità e del ‘diverso’, perché Dio altro non è che la Verità che rende liberi, liberi di essere finalmente se stessi, di amare in modo diverso e di credere in modo diverso.

«Ci vuole molta attenzione nella catechesi, per creare coscienze di figli piuttosto che di sudditi schiavi di una legge. Le norme ‘legano e rilegano’ l’uomo, fino a farne una mummia religiosa che si conserva morta per sempre. Meglio sbagliare ed essere liberi che fare il bene per schiavitù. Lo schiavo non può permettersi di sbagliare. Chi sbaglia è perché crede bene il male ma mantiene la sua libertà, ma chi rinuncia a questa fa il male peggiore: rinuncia alla sua dignità di figlio e defrauda Dio di quella di Padre» (Silvano Fausti, Elogio del nostro tempo).