26/08/2018

DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE

Anno B – Rito Ambrosiano

Commento su :

Secondo Maccabei. 7, 1-2. 20-41; Seconda Corinzi. 4, 7-14; Matteo:10, 28-42

don Raffaello Ciccone

Lettura del secondo libro dei Maccabei. 7, 1-2. 20-41

I fatti, ricordati nel martirio dei 7 fratelli, con la madre, si collocano durante il regno di Antioco IV Epifane ( 176-164 a.C). Questo re vuole sviluppare una politica di revisione e di smantellamento del culto ebraico. Tale politica affretta la rivolta partigiana della famiglia dei Maccabei: cinque fratelli che si ribellano al re Antioco nel 167 a.C. e che resistono alle campagne degli eserciti greci, riuscendo, alla fine, a liberare Gerusalemme.

In questo clima di contrasto e di persecuzione verso i fedeli, convinti della fede del Dio d’Israele, si sviluppa un accanimento che provoca molte vittime. L’autore biblico ha voluto, in particolare, raccontare un processo pubblico, alla presenza del re contro una famiglia di 7 fratelli con accanto la loro madre, colpevoli del rifiuto di mangiare cibo impuro secondo la legge ebraica.

L’autore biblico, nel racconto, sviluppa anche una riflessione teologica molto matura e nuova nel mondo ebraico.

Prima di tutto egli vuole portare a conoscenza questo processo poiché offre un grande esempio che aiuta i credenti a riprendere coraggio e mantenere fedeltà. Il racconto di questi martiri della fede passa sotto il nome di “fratelli Maccabei” dal nome del libro che parla della resistenza in Israele (pur non avendo niente a che fare con i partigiani nella lotta al re, portatori di tale nome).

Il re Antioco si pone, in particolare, due obiettivi, tra i tanti: una motivazione culturale, obbligando al culto degli dei greci gli ebrei conquistati, e una motivazione economica: depredare il tempio di Gerusalemme per il bisogno continuo di danaro per la guerra e i tributi ai romani. Ma ha anche tentato di profanare il tempio, dedicandolo a Giove Olimpio (2 Mac 6,1-2). E’ convinto che sfibrare la fede e la convinzione di un popolo permette di poterlo dominare.

L’episodio racconta il processo, discorsi, risposte e torture. Nella liturgia di oggi, in particolare, possiamo leggere le coraggiose riflessioni della madre e dell’ultimo figlio ancora vivente.

Oltre la testimonianza di fede, il figlio minore svela una stupefacente maturazione della fede che si è approfondita proprio durante la persecuzione, facendo evolvere i contenuti del passato, che erano legati al benessere ed al successo, e veramente considerati segni della giustizia di Dio che ricompensa il giusto. Ma di fronte alla morte, tra l’altro atroce, di giovani che non hanno ancora ricevuto nulla dalla vita e che, tuttavia, sono rimasti fedeli, cresce una nuova consapevolezza. Accanto al dono della vita come dono di Dio, c’è la vita piena che Egli offrirà nella risurrezione: “La sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito della vita”.

Insieme a questo destino di gloria e di luce si scopre una seconda profondissima intuizione nella fede in Dio che è creatore dal nulla del cielo e della terra (“e non da realtà preesistenti ” come viene pensato nelle varie religioni e culture). Il concetto del creare dal nulla è molto complesso e difficile. Ma, in tal modo, il Dio d’Israele viene ad essere riconosciuto come il più grande di tutti gli dei e di tutti i re della terra, il più potente.

Infine viene ricordato proprio dalla vittima, che soffre l’ingiustizia, una giustizia più alta che condanna alla sua terribile responsabilità chi si comporta senza rettitudine, ricordando che il Dio in cui crede è l’unico Dio della terra.

Tutto questo testo è un grandioso brano educativo dove appare il significato sapienziale della fede e della vita, incoraggiata ed offerta, insieme con la responsabilità di sorreggere anche la fede degli altri e la coscienza di essere nelle mani di Dio, nonostante le difficoltà, le contraddizioni e la propria fragilità.

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi. 4, 7-14

Paolo ha un profondo senso di consapevolezza della propria povertà, anche se sa difendersi quando viene attaccato, poiché non sopporta di essere considerato ambiguo, o superficiale, o in cerca di interessi e privilegi.

Egli rivendica la sua onestà che lo porta ad essere scrupoloso nel proporre il vangelo di Gesù che gli è stato affidato. E rivendica di aver predicato la verità davanti ad ogni coscienza. “La verità è Cristo Gesù Signore “(v 5).

E tuttavia, l’esperienza gli fa riconoscere che il Vangelo è custodito in vasi di creta, nella sua debolezza e infermità. Tutta la persona e tutta la vita, che soffrono questa limitatezza, sono chiamate ad una altissima vocazione. Proprio qui si manifesta “la potenza straordinaria di Dio”. E se nella mentalità comune e nella sensibilità greca il valore della persona, alla fine, si mostra nella saggezza, nel rispetto, nel prestigio, nell’accoglienza, nell’accettazione entusiasta della Parola nuova, Paolo si rende conto che la sua vita non è un grande esempio di popolarità, di successo e di riuscita. “Tribolati da ogni parte” ma non disperati, perseguitati eppure soprattutto coscienti di non essere abbandonati. Paolo sente di essere consegnato come “alla morte”, a somiglianza di Gesù ” e a causa di Gesù”. La fede, nella Parola di Dio e nella risurrezione, provoca la vita nei fratelli, mentre nel discepolo vive la fatica e la sofferenza del Salvatore. Egli è consapevole che l’operosità e la missione che lo stimolano lo fanno diventare fiducioso agli occhi di coloro che incontra. Egli ha creduto e quindi parla. E così, nonostante la propria fatica, i cristiani di Corinto sono santificati dallo Spirito che vivifica ciascuno, e sono consci che la fede alimenterà ogni giorno la convinzione della risurrezione, “ponendoci accanto a lui” nella gloria.

Per quanto disorientati per un cammino niente affatto desiderabile e gioioso, proprio la morte di Gesù e l’esempio che egli ha dato sono diventati una verifica che capovolge i criteri di valore e di successo. “Consegnati alla morte perché la vita si manifesti nella nostra carne mortale”, Paolo non teme di essere chiaro e, per alcuni versi, brutale. Ma questo paradosso, che vive con consapevolezza, gli permette, tutto sommato, di abitare nella speranza. Egli diventa un viatico per la sua comunità che è continuamente presente nel suo ricordo e nella sua volontà formativa.

Lettura del Vangelo secondo Matteo:10, 28-42

Gesù ha lungamente istruito i suoi discepoli poiché tutta la vita comune, che hanno sviluppato con Lui senz’alcuna pausa o stacco, ha portato a maturare alcune scelte fondamentali. Matteo ci sintetizza, tuttavia qui, le raccomandazioni ai missionari (ma missionari siamo tutti), riproponendoci questa seconda parte del discorso missionario.

Si ritrovano qui alcuni atteggiamenti fondamentali da maturare e riproporre nella quotidianità.

A: “Non abbiate paura”.

B: “Sono venuto per una rivoluzione di significati e di valori”.

C: “Desidero rimettere al primo posto la gratuità”.

A: Il “non abbiate paura” è ripetuto tre volte in questo brano (vv26.28.31).

“Non abbiate paura” che le prospettive del Regno siano travolte e vanificate. Anzi il Regno ha una forza esplosiva. “Nulla resterà nascosto” e perciò “quello che vi dico nelle tenebre ditelo alla luce e predicatelo sui tetti” (vv 26-27)

“Non abbiate paura ” di perdere la vostra posizione, la stima dei superiori o le amicizie, o ciò che è vostro; non temere di essere puniti, degradati o addirittura uccisi (vv 28-29), poiché tutto quello che ci possono derubare non costituisce la dignità piena. E se conosciamo una nostra drammatica fragilità, che vorrebbe metterci in balia delle volontà e delle intenzioni degli altri, il Signore, che passa per la morte, vince il mondo e la nostra morte stessa.

“Non abbiate paura” di quelli che lasciate soli, perché coinvolti nelle vostre scelte, e perciò in balia della povertà e in mancanza di sostegno. Gesù dice: “Fidatevi”. Se ci sono molti che soffrono per la Parola di Gesù, saranno riconosciuti da Gesù di fronte al Padre.

Abbiate invece paura del male che c’è in noi, ” di chi ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” (v 28). E’ quella forza negativa che ci conduce lontano da Gesù, che ci fa fare scelte ambigue, ci fa tenere amicizie distorte, ci fa mantenere legami che ci rendono schiavi e incapaci di vivere. Non va dimenticato che questo testo è scritto da Matteo (tra gli anni 80- 100 d.C.), in un periodo in cui già l’autorità civile sta perseguitando i cristiani, accusandoli di ateismo, pericolosi nemici dell’umanità e traditori dell’imperatore, poiché non accettano di riconoscere caratteri divini a Roma e all’autorità (si intravedono i profili di Nerone e di Domiziano).

B: sono venuto per una rivoluzione di significati e di valori

Nella vita la prima scelta da fare, dice Gesù, è “riconoscermi davanti agli uomini” (v 32). Bisogna avere il coraggio di smuovere le incrostazioni e gli accomodamenti:” Non sono venuto a portare la pace ma la guerra, ma la spada”.

Sono “venuto a separare”, a mettere in crisi la famiglia e gli affetti sacrosanti. Quando qualcuno della famiglia diventa cristiano, nascono tensione, paura e sconcerto anche per le conseguenze che coinvolgono tutta la famiglia: dalla esclusione dalla sinagoga alla persecuzione. Si arriva facilmente a disconoscere il figlio o la figlia e a scacciarli di casa. “Sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalia madre”.

C: Gesù desidera che si rimetta al primo posto la gratuità.

E quattro richiami molto radicali ci riportano ad approfondire il senso del cammino: non si tratta di parabole o di similitudini.

Gesù non si limita ad incoraggiamenti, a ripensare in modo più onesto (oggi si parla spesso di cattolici “moderati”.) la qualità della vita.

“Prendere la croce” rimanda alla tragica processione che il mondo romano svolge quando un pericoloso distruttore dell’impero viene condannato. Passare tra la gente, deriso e rifiutato, e morire sulla croce senza scampo è assolutamente repellente. Il problema però si pone poiché Gesù stesso ha seguito alla lettera questo itinerario, lui il “Giusto”. E non ha fatto o detto nulla per difendersi. Nel mondo il credente, invitato alla coerenza, rischia di essere qualificato come un traditore e un pericolo per l’impero.

“Trovare la vita” significa cercarla e conservarla con tutte le proprie forze, quella che Gesù invita a cercare nei suoi valori più alti.

L’accoglienza nei tre livelli di presenza: il discepolo, Gesù, il Padre. Nell’inviato c’è tutta l’autorità di Gesù (in due versetti, 6 volte c’è il termine “accogliere”). 6 è il numero della vita, (l’umanità è creata il 6° giorno: Gen 1), ma non è ancora tutto poiché non raggiunge il 7.

Il credente deve poter essere disponibile mentre ci coinvolge l’attenzione sui bisogni dell’altro, anche solo del bicchiere di acqua, ma “fresca”.

Sembra che Gesù porti il suo messaggio alla esasperazione. Ma, come tutto il Vangelo, la radicalità non pretende che si ubbidisca alla lettera, ma che si accettino strade ed itinerari inusuali che maturino verso orientamenti assolutamente nuovi, quelli di Gesù. Egli chiede scelte di campo nei suoi fedeli e nella Chiesa.

Tratto da Qumran2.net