18/03/2018

V DI QUARESIMA -Domenica di Lazzaro

 Il Signore  fece  uscire il suo popolo fra canti di gioia
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 COMMENTI ALLE LETTURE DOMENICALI

 don Raffaello Ciccone:

PRIMA LETTURA : deuteronomio 6, 4a. 20- 25

SECONDA LETTURA  : Efesini 5, 15-20

VANGELO :   GV 11, 1-53

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DAL LIBRO  : “I SALMI ”  DI   D.M- TUROLDO  e G-  RAVASI

SALMO 104 (105)

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don Raffaello Ciccone

Deuteronomio 6, 4a. 20-25

Il capitolo 6, nel libro del Deuteronomio, ha un fondamentale significato per il popolo d’Israele: imposta il contenuto della fede per tutto il popolo nel tempo (“Ascolta Israele; il Signore è il nostro Dio 6,4), delinea la sua morale nell’amore pieno verso Dio (“Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore 6,5), impegna nell’educazione dei figli per continuare l’Alleanza.

Nel capitolo precedente l’autore biblico ha ricordato la legge, sintetizzandola nelle 10 parole di vita: i 10 comandamenti. Ma attorno a questi esistono moltissime altre leggi che gli ebrei, con infinita pazienza, hanno cercato di scandagliare, di ripensare, di elencare, di rendere concrete nella loro vita. Si parla così di “precetti, istruzioni, statuti” che propongono la sapienza di Dio nel suo popolo che deve maturare e deve trasmettere. Secondo la riflessione biblica, è questa la vera strategia per mantenere il benessere e la pace. Incontriamo, qui, alcune parole fondamentali: “ascoltare, osservare e ripetere”, “domandare e rispondere”.

È proprio dell’adulto l’attenzione alla Parola di Dio (“ascoltare”), l’impegno ad operare secondo la legge del Signore (“osservare”), ripetere alle nuove generazioni l’atteggiamento concreto del crescere verso l’età adulta (” insegnare”). Il testo, per richiamare la quotidianità e la fedeltà alla Parola del Signore, elenca alcuni momenti di vita che toccano gli estremi: “quando ti troverai in casa tua e quando camminerai per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (v 7). Solo così il popolo può vivere in pace e nel benessere.

Il brano, che leggiamo oggi, suppone tutto questo impianto di esperienza, di quotidianità, di ubbidienza alla Legge, e imposta gli elementi fondamentali di trasmissione della sapienza al mondo giovanile che si prepara a diventare adulto. La quotidianità comporta giudizi e scelte diverse. Perciò è essenziale che esistano domande, che vengano formulati degli interrogativi sulle motivazioni. La coerenza e la testimonianza degli adulti, poi, vengono inevitabilmente a confronto con altre esperienze ed altre le popolazioni di diverse culture: questo semplice fatto ci interpella.

Senza interrogativi non c’è ricerca, intelligenza, maturazione, sapienza. Per il mondo ebraico si colgono i significati e si sviluppano scelte coerenti solo se si ha la preoccupazione della ricerca di spiegazioni. Questo vale per la scuola, per la famiglia, per la vita di ogni giorno.

E se è facile che siano i bambini di tenera età ad insistere sui perché, rendendo proverbiale e curiosa la loro ostinazione, nella nostra cultura e nella nostra sensibilità, soprattutto, in questo nostro tempo, di scienza e di ricerca, curiosamente, non accettiamo più di interrogarci e tendiamo a misurare il senso delle cose e delle proposte dalla propria istintività e simpatia.

Stiamo esasperando a dismisura le scelte e le accoglienze, solo legandoci alla emotività del “mi piace” o “non mi piace”.

E’ previsto nel mondo ebraico, in una fondamentale liturgia domestica Pasquale, nel “banchetto del memoriale” l’obbligo che il più giovane ponga la domanda: “Perché facciamo questo?”. E il padre di famiglia, deve rispondere con la sintesi della fede che oggi abbiamo letto. Egli presenta il “Dio che ci ha liberati: Egli è esigente e lotta contro l’oppressione, è innamorato della libertà per il proprio popolo e sa quali siano i parametri per mantenere nella felicità e nella pace il popolo che ha liberato, Così la proposta della giustizia deve sapersi misurare non esclusivamente sull’interesse di parte, ma sulla responsabilità di coerenza e di coesione del popolo intero “.

Si pone il problema, per gli adulti: quello di saper essere educatori, attrezzati con dei buoni perché e consapevoli di dover essere padri e madri, tutti maestri nello stesso tempo.

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 15-20

Paolo sta suggerendo agli Efesini, nella seconda parte della sua lettera (4,1-6,24), le conseguenze morali dell’essere nella Chiesa (prima parte: 1,3-3,21), corpo di Cristo.

Bisogna cominciare da un serio esame di coscienza, dice Paolo (v,15 ) per verificare se ci sono rimaste nel cuore tracce di stile e di comportamenti precedenti pagani. Il tempo va vissuto con intelligenza (“non da insipienti”) e con saggezza. “I tempi sono cattivi” perché dominati dal male e dalla lontananza da Dio.

L’analisi del tempo e della storia, nella fede, deve aiutarci a scoprire la volontà di Dio che non è facilmente decifrabile. C’è il rischio, per noi come per tutti, di essere “sconsiderati”, incapaci di interpretare il tempo. C’è infatti il rischio di ricadere in forme di ebbrezza che nascono dal vino e che si sviluppano nello stordimento e nella istintività sessuale degradante. Tanto più che queste forme di esaltazione sono caratteristiche anche come elementi e manifestazioni religiose di stordimento, pensa Paolo, legate alla iniziazione del culto di Dioniso, che porta a convulsioni, a condotte di invasati, a sregolatezza. Come cristiani ci inebriamo solo dello Spirito di Dio, capace di mantenere nella sobrietà e nel rispetto della sua volontà. Le manifestazione dei battezzati si sviluppano così nel canto, nella preghiera, nel ringraziamento.

Facilmente oggi si parla di sballo, di brivido, di rischio, di esaltazione e si lega il tutto al gioco d’azzardo, alla droga anche se persiste, pure tra giovanissimi, il mai finito rischio dell’alcool.

Paolo crede veramente al valore dei cristiani nella società che portano una presenza coraggiosa ed esemplare poiché questa, come il sale, come la luce, crea imitazioni e equilibri nuovi, sanità mentale e santità.

Sappiamo di essere in tempi di difficoltà e di crisi e nella storia questi tempi, spesso, alimentano suggestioni per una ricchezza gratuita, offerta dalla fortuna, dal caso, dal rischio, dalle macchinette mangiasoldi. Proprio in questi periodi si stanno moltiplicando le abitudini a bische, a scommesse sempre più pesanti per tentare la fortuna, e si entra, così, come in un tunnel, asserviti ad una droga, irresistibile fino al punto da far cercare danaro in prestito. Si asciuga in brevissimo tempo il reddito mensile di lavoro, si mette sul lastrico la propria famiglia. Nella nostra società, facilmente, si approfitta di questa debolezza e si incentiva, anche con metodi molto semplici ma persuasivi, la volontà di giocare e di vincere denaro. Il pericolo si fa sempre più costringente ed è difficile uscirne. Questo fenomeno è conosciuto molto bene dai gruppi della Caritas delle parrocchie che si occupano di attenzione ai poveri.

VANGELO :   GV 11, 1-53

Il “settimo segno”, del Vangelo di Giovanni, molto complesso per la nostra comprensione, va letto nella sua prospettiva teologica, così come Giovanni cerca di suggerire.

È, infatti, un brano carico di elementi inspiegabili, se lo vogliamo interpretare semplicemente come un ritorno alla vita di prima di Lazzaro, al prima della malattia e della morte.

Qui si vuole restituire il significato della presenza di Gesù che è vita e che, proprio nel presente, se noi crediamo, è capace di far superare la morte per ricondurci nella pienezza di Dio.

Seguendo passo passo il testo, ritroviamo l’annuncio della malattia di Lazzaro che è un amico, e insieme scopriamo una strana indifferenza di Gesù che non si muove e costruisce strani discorsi, richiamando la morte come gloria di Dio e come avvenimento per la fede dei discepoli.

Poi Gesù ritorna a Betania e non va a cercare Marta e Maria nella loro casa. Quella casa è il luogo della disperazione e della morte, il luogo delle condoglianze e della realtà in cui non c’è più speranza. Perciò Gesù aspetta fuori sia Marta che Maria. Ma quando le due sorelle lo incontrano, il primo saluto è un rimprovero. “Perché non sei venuto prima, perché hai accettato che morisse?” E’ il dramma di ciascuno di noi di fronte alla morte, è la sintesi degli interrogativi quando non ci sentiamo ascoltati nelle nostre preghiere. “Dov’è Dio? Perché non sei presente se sei così grande?”

Gesù riporta al senso della vita: siamo immagine di Dio ma questa vita non è tutto. E’ solo un tempo transitorio. Certamente è un tempo in cui si costruisce una comunità e una speranza, è tempo di fedeltà, di incontro, di amicizia. In questa vita si intrecciano rapporti stretti e profondi, ma, con la morte, si scompare ai rapporti normali e carichi di affetto, alle collaborazioni, alla reciproca condivisione. E di questo anche Gesù soffre; per questo Gesù piange, ma non come gli altri. Il suo non è un pianto disperato, ma un pianto di nostalgie e di amicizia per una temporanea lontananza (i verbi greci del testo chiariscono la differenza tra il pianto di Gesù e quello delle sorelle).

Allora Gesù, fremendo, si reca al sepolcro – è una grotta – ” e contro di essa è posta una pietra”. Ci sono tre verbi imperativi che Gesù pronuncia ai suoi: “togliere”, “sciogliere” e “lasciare”.

“Togliete la pietra”: la pietra impedisce la comunicazione tra i morti e i vivi. “E gli rispose Marta, la sorella del morto”. Marta è ricordata come la sorella del morto e non di Lazzaro: l’idea della morte domina questa comunità. “«Signore, manda già cattivo odore»”. Al terzo giorno la morte si considera definitiva: inizia ormai irreversibile la decomposizione del cadavere.

Gesù dice: “Se credi, vedrai la gloria di Dio”. Così, alla tomba, Gesù grida con forza la fede nella vita piena.

Il morto esce dal luogo della desolazione con i segni della morte.

“Scioglietelo e lasciatelo andare”. Alle persone vicine Gesù chiede di liberare Lazzaro dai legami della morte e solo ora è pronto per andare al Padre (come Gesù andrà al Padre).Gesù non restituisce Lazzaro alla comunità ma questa comunità deve rivedere il nuovo cammino di gloria di Lazzaro:”Bisogna lasciarlo andare”. Bisogna credere che è con il Padre nella pienezza della vita poiché crede in Gesù e non è più legato nel sepolcro.

Questo lasciarlo andare vale anche per noi che, spesso, cerchiamo di trattenere il defunto con le visite ossessive al cimitero, con l’attaccamento morboso ai suoi effetti personali, con il ricorso ai medium…

È doloroso essere lasciati dai genitori, fratelli, sorelle, figli, parenti, amici. Ma abbiamo fiducia sapere che chi abbiamo amato, ed abbiamo perso ai nostri occhi, è entrato nel mondo del Figlio e che perciò ci resta vicino. E’ come accettare di vederlo rinascere ad un mondo splendido che noi non conosciamo, se non per sentito dire da parte di Gesù, un mondo nuovo perché fatto dal Padre.

Il segno di Betania ha rimesso in moto paure, recriminazioni, progetti di morte tra i personaggi dell’autorità religiosa di Gerusalemme. Gesù è capace di garantire la vita davanti alla morte, ma sa che deve accettare di passare anche lui nella morte per essere, in pienezza, per tutti, vita e quindi il primogenito dei risorti. Negli ultimi versetti del testo vengono sintetizzati tutti i retroscena di ciò che sarebbe stata poi la conclusione della vicenda di Gesù. Ma al sommo dello stupore che la comunità cristiana maturerà via via, il significato teologico della morte di Gesù viene proprio pronunciato dal nemico acerrimo: Caifa’, sommo sacerdote di quell’anno.

Egli afferma: “Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!».

Dio è capace di trasformare anche i tragici progetti di morte in opere grandiose di vita per cui Gesù muore “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (v 52).

Tratto da Qumran2.net

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SALMO 104 (105) vv 2-3-23-24-43-45

dal libro: “I SALMI”  di D.M. la storia che si fa preghiera :

Potranno altri popoli oppressi, i poveri di sempre, i poveri di tutto il mondo, questa umanità schiava come l’antico tuo popolo, Signore; potrà questo oceano di popoli cantare un giorno il salmo della loro liberazione? O ci saranno soltanto nuovi faraoni senza nuovi esodi? Che senso avranno le nostre Pasque e questo cantare ancora i salmi se ci troviamo conniventi

Con gli stessi faraoni? Oh chiese !……

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GIANFRANCO RAVASI

Questo  primo Alluluja del salterio  è una “ lode” rivolta al Signore della storia, artefice di atti gloriosi, espressione di un amore eterno per il suo popolo. L’Esodo dall’ Egitto e la marcia nel deserto, il dono della terra promessa, si rivela così la struttura intima della fede biblica che non è un’astratta adorazione del Dio misterioso ma la scoperta continua della sua vicinanza e della sua presenza  nel tempo spesso opaco dell’ uomo.