30/07/2017

VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE –

Commento alle letture

Mt 4,18-22; 1Sam 3,1-20; Ef 3,1-12;

don Raffaello Ciccone

Matteo. 4, 18-22

Matteo inizia il racconto della predicazione e della vita pubblica di Gesù dopo la notizia che giunge drammatica e inaspettata: “Giovanni Battista è stato arrestato”. Così la Parola di Dio si è ammutolita. Gesù, allora, comprende che è arrivato il suo turno, e quindi si ritira nelle terre della Galilea che, nel linguaggio delle tribù del nord, sono il territorio di Zabulon e di Neftali (la Galilea). Nel contesto ortodosso di Gerusalemme, la Galilea viene considerata un luogo di mescolanza con pagani, un luogo di ignoranti e di pericolosi terroristi. Eppure Gesù incomincia dai lontani la sua vocazione. “nella terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta”. Questa è la profezia di Isaia (8,23b-9,3) che fa riferimento alla invasioni Assire dell’VIII secolo a.C. quando, conquistata Samaria, importarono popolazioni pagane nel territorio della Galilea e della Samaria. Per questo si parla di “Galilea delle genti”. (4,15-16).

Gesù predica la conversione. Essa non consiste nel diventare migliori, fare qualche opera buona o pregare di più, ma impegna a cambiare radicalmente modo di pensare e di agire.

Questo annuncio, iniziato dal Maestro, deve moltiplicarsi nel mondo, mantenendo sempre la propria radice in Lui. Perciò il progetto di Gesù si organizza in un nucleo di popolo e Matteo incomincia a raccontare come Gesù abbia iniziato a raccogliere i 12 che sono l’inizio del popolo nuovo come Israele è costituita da 12 tribù.

Il vangelo è annuncio di gioia e di pace e, quindi, non si chiude in un cassetto o non lo si nasconde. L’annuncio suppone movimento, e Gesù cammina lungo il mare, percorre tutta la Galilea (vv.18.21.13), e si aspetta una risposta generosa, anche un po’ sconcertante: si parla di “subito”, ma suppone più uno stile che la fotografia del tempo (v 20. 22).

Il distacco dal padre non va frainteso, come se Gesù voglia suggerire di disinteressarsi dei propri genitori. Nel popolo ebraico il padre significa rapporto con i propri antenati, l’attaccamento alla tradizione. E se la tradizione di un popolo va rispettata, bisogna tuttavia verificare il suo rapporto con il Vangelo poiché non tutte le tradizioni sono in linea con la novità del Signore e la sua Parola.

L’evangelista conosce i molti conflitti familiari, le difficoltà e spesso le espulsioni di cristiani da parte delle famiglie di origine non credenti e spesso spaventate. Volendo essere coerenti, nelle prime comunità, si accolgono questi cristiani abbandonati e spesso si ospitano in famiglie di credenti che accettano di condividere tali esclusioni.

I primi apostoli sono pescatori, lavoratori robusti. Essi non pescano con l’amo, ma con la rete, tirando a riva ciò che la loro bravura era riuscita a raccogliere. Pescano normalmente di notte, e, al ritorno, sistemano le reti, rimettendole in ordine, ripulendole ed eventualmente rammentando gli strappi. E sappiamo che il mare, nel mondo ebraico, è considerato la dimora del demonio. Gli ebrei sono uomini di terra, agricoltori o pastori, spesso camminatori del deserto. Il mare si frappone alla vita, alla luce, è profondo, infido, pericoloso e misterioso.

Perciò pescare gli uomini significa strapparli dal male e dalla morte.

Gesù si raccomanda che ogni fratello o sorella in difficoltà vada strappato dal male, dalla droga, dalle passioni sfrenate, dal carattere irascibile e aggressivo, dalla disperazione, dal senso di inutilità.

 1 Samuele. 3,1-20

La storia d’Israele segnala continue guerre poiché le tribù cercano spazi di vita, ma gli abitanti già stanziati non permettono loro di insediarsi agevolmente.

Da più di un secolo un popolo di navigatori, i fenici, sono sbarcati sulle coste della pianura della terra di Canaan, occupano le terre fertili e scacciano gli israeliti in montagna, su terreni sassosi e poco produttivi. Questi vicini bellicosi e forti portano scompiglio e guerra, mentre le tribù d’Israele sono divise e ognuna fa quello che può, riportando spesso sconfitte. Il tempo dei Giudici prima e il tempo dei re poi, in particolare, Saul e Davide, si caratterizzano per continui scontri. In questo orizzonte vive Samuele di cui lungamente si parla poiché riuscirà a trasformare in popolo questo cumulo di gelose autonomie tribali quando diventerà re Davide.

Siamo ad un racconto di vocazione profetica: la storia degli uomini e del mondo è nelle mani di Dio che indirizza verso progetti che solo Lui conosce, con la forza della sua Parola, ma ha bisogno di uomini fedeli e e capaci essere portavoce della sua volontà.

Samuele (“Dio ascolta”) è figlio di Anna, una donna sterile ma ricca di fede. Pregando ottiene un figlio. Ella ha formulato un voto al Signore: “Se avrò un figlio, lo restituirò al Signore, come primogenito, facendolo servire presso il santuario di Silo, dov’è l’arca del Signore” (1Sam 1-2).

Samuele è cresciuto, perciò, nel tempio come poteva esserlo allora, accanto ad Eli, sommo sacerdote. Ora è diventato adolescente, si comporta con responsabilità e segue Eli, essendo a suo servizio. Eli è un uomo retto, ma debole e non ha saputo educare i figli che sono diventati delinquenti e violenti. La sua casa sarà distrutta poiché questo è il destino di chi si comporta male. Eli lo sa, ma continua, almeno personalmente, a servire Dio ed è una guida sapiente per Samuele. Sa che la sua vocazione è quella di garantire la continuità della Parola di Dio al suo popolo, visto che “la Parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti” (3,1). E Samuele, ogni volta che viene chiamato, è disponibile all’obbedienza verso il vecchio sacerdote. Si vedrà compensato in un dialogo diretto con Dio. Se si dice che “Samuele non conosceva ancora il Signore” (v7), si vuol chiarire che Samuele non aveva ancora avuta una esperienza intima di Dio, pur avendo vissuto nello spazio del tempio. Conoscere, in ebraico, racchiude una esperienza totale e profonda.

“Dio parla”. E’ una espressione biblica che non va intesa in senso materiale. La chiamata di Dio è nell’intimo, nel cuore ed ha vari modi di farsi intendere. Il Signore consegna a Samuele la vocazione di aiutare il suo popolo diviso a ritrovare le strade dell’unità, dell’ubbidienza e della solidarietà.

Efesini. 3,1-12

Paolo ha ricevuto il compito di annunciare il “mistero”. E il “mistero” è il progetto di associare insieme i pagani al popolo eletto nell’unica vita del corpo di Gesù. E’ il popolo di Dio, costituito da tutti i battezzati, uniti nella fede in Gesù e quindi corpo di Gesù “mistico” per distinguerlo dal corpo di carne di Gesù stesso.

Paolo ricorda che un tale progetto non è stato annunciato in passato poiché, probabilmente, non l’avrebbero capito né accolto. Ora invece si manifesta attraverso la predicazione degli apostoli e dei profeti. I Qui i profeti non sono quelli che, nel Primo Testamento, hanno tenuta desta l’attesa del Messia e che fanno parte delle generazioni passate, anche se hanno avuto alcune intuizioni e preannunci di tale “mistero”. Ma tali intuizioni, negli antichi profeti, erano così lontane e così astratte che furono colte solo come sogni, visioni, e si sarebbero attuate solo nel momento della piena conclusione della storia.

Paolo ricorda ai suoi lettori che egli è divenuto ministro dell’Evangelo (cioè servo, strumento della Parola del Signore) per la grazia di Dio. I richiami che vengono proposti sono sempre più richiami di gratuità, di dono, di generosità insondabile di Dio. Paolo si è reso conto che, per compiere questa vocazione (e Paolo si sente investito), non è stato scelto per giustizia o per merito ma scopre con stupore che lui, l’ultimo, viene chiamato a collaborare con il Signore. Il piano è magnifico, enorme, addirittura impensabile. E’ il Piano di Dio a cui tutti sono chiamati e i battezzati nello Spirito debbono sentirsi a loro agio, a casa loro, contenti di questa pienezza e carichi di volontà di diffondere la conoscenza che il Signore offre per un raduno di unità tra tutti i popoli.

Ci viene, in ricordo, una parola di Gesù dove lui stesso richiama il mistero: “A voi è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli” (Mc 4,11; Mt 13,11). E da Paolo scopriamo che questo mistero svelato era nascosto anche agli angeli “delle regioni celesti” e anche a loro, attraverso la predicazione della Chiesa, viene annunciato questo miracolo di comunione che unisce cielo e terra. (v 10). Perciò ci accostiamo a Dio Padre con fiducia, sapendo di essere accompagnati da Gesù poiché abbiamo fede in lui.

Tratto da Qumran2.net